Serve ancora la Nato? Dalla fine della Guerra fredda ha fatto sempre di più
Tra i primi a spiegare l’importanza di un’alleanza militare fu Ernest Bevin, ex ministro degli Esteri britannico, europeista e laburista atlantista
Questo testo è stato pubblicato il 28 marzo scorso nella newsletter europea del Foglio, “EuPorn – Il lato sexy dell’Europa”, a cura di Paola Peduzzi e Micol Flammini (potete iscrivervi qui). Questa è una versione adattata e aggiornata.
Domani, giovedì 4 aprile, i paesi membri dell’Alleanza atlantica si riuniranno a Washington per festeggiare i 70 anni dalla firma del Trattato che diede vita alla Nato. Di discorsi ne furono pronunciati tanti quel giorno, ma il nostro contributo preferito risale a un anno prima, alla Camera dei Comuni britannici, dove l’allora ministro degli Esteri Ernest Bevin spiegò al suo paese l’importanza di un’alleanza militare atlantica. Bevin era un laburista, un leader sindacalista, unico ad aver studiato in famiglia – leggeva i giornali ad alta voce a sua madre (non ha mai saputo chi fosse suo padre) e alle sue sorelle. Fu ministro del Lavoro durante la Seconda guerra mondiale e poi ministro degli Esteri dopo la vittoria delle forze alleate. Anticomunista, Bevin aveva un rapporto complicato con gli americani: allineato sulla difesa comune dei valori occidentali, spesso litigava con Washington su metodi e tempi della cooperazione. Non lo faceva per difendere l’istinto imperialista britannico – anzi, contribuì al ritiro inglese dall’India – ma perché voleva che l’Europa conquistasse un ruolo paritario nella dialettica transatlantica.
Bevin, un inglese che aveva a cuore la forza europea, insistette sulla necessità di un’assemblea della comunità internazionale – le Nazioni Unite –, di un piano di ricostruzione europea (il Piano Marshall), di un’entità militare comune (la Nato) con un dovere solidale di difesa reciproca (l’articolo 5 del Trattato della Nato). Fu molto contestato dal suo partito, il Labour, che non vedeva la differenza tra lui e gli esponenti conservatori, e un gruppo di parlamentari laburisti decise di dissociarsi, lanciando il manifesto “Keep left” contro Bevin, per una politica estera più “di sinistra”, indipendente dall’America e dall’Unione sovietica.
A inizio marzo, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha spiegato a cosa è servita la Nato, la sua grande forza di attrazione (speculare a quella dell’Unione europea), e il paradosso di oggi: “Nonostante siamo diventati sempre più grandi, nonostante molti paesi abbiano aderito alla Nato, nonostante siamo l’alleanza militare di maggior successo della storia, molti continuano a mettere in dubbio la potenza e la rilevanza del nostro legame transatlantico, sia in Europa sia negli Stati Uniti”. E giovedì 4 aprile, che c’è una festa di compleanno, 70 anni, siamo davanti a questo paradosso assieme al nostro migliore amico che tutt’a un tratto è diventato capriccioso, distratto, poco presente. La morale è: ci manchi, America.
Preparandosi alla festa di compleanno, la Nato sta pubblicando pillole sulla propria storia, con l’hashtag #WeAreNato. Il punto di svolta nella storia della Nato è stato il crollo del Muro di Berlino, la fine della Guerra fredda. Se prima del 1989 la Nato era considerata uno strumento imprescindibile, dopo sono cominciati i dubbi: a che serve la Nato senza l’Unione sovietica? L’Atlantic Council ha pubblicato un paper su quel che ha fatto l’Alleanza negli ultimi trent’anni, in Afghanistan, in Iraq in Libia, nei Balcani. Ha dato la risposta più esaustiva a questa domanda. Eppure non basta.
Anche i paesi fondatori della Nato stanno fornendo spiegazioni dettagliate sul senso di questa alleanza. Eppure non basta. O almeno non basta a Donald Trump.
Al vertice della Nato del luglio dello scorso anno, Trump scandì in conferenza stampa tutte le sue rimostranze all’Alleanza atlantica: è obsoleta, è un cimelio della Guerra fredda, la Germania ci deve dei soldi, l’America spende una fortuna nella difesa dell’Europa e non riceve nulla in cambio, gli europei ci dicono che hanno paura della Russia e poi fanno affari con la Russia mentre noi cretini paghiamo per loro. Insomma, le solite cose. Come sappiamo, nemmeno Barack Obama, amatissimo in Europa, era stato da meno: ci diede degli scrocconi.
Allora, li stiamo pagando i nostri conti? Pare di sì: da quattro anni, i contributi dei paesi europei della Nato sono in continua crescita. Nel 2018 le nazioni-modello sono state: Polonia, Lettonia, Lituania (l’Italia è ancora lontana dal 2 per cento del pil, il minimo richiesto dall’America per contribuire alle spese della Nato). Eppure non basta. Il 69 per cento delle spese dell’Alleanza è ancora a carico degli Stati Uniti.
Per sistemare i conti con il nostro migliore amico ci vorrà molto, molto tempo. Ma questa amicizia non è soltanto una questione di soldi, sennò che amicizia sarebbe?
Ecco. Gli americani accusano l’Europa di tradimento. Avete un nuovo amico, ci dicono. E parlano del progetto di difesa comune europeo, il famoso “esercito europeo” che è lontanissimo dall’essere un’alternativa alla Nato e che comunque non è un’alternativa alla Nato. Ma nasce, questo sì, perché l’America non si fida più dell’Europa, e l’Europa non vuole più dare per scontata la fiducia nell’America. Il disequilibrio è evidente.
E poi c’è la Russia. Pochi giorni dopo il vertice della Nato a Bruxelles, lo scorso luglio, Trump incontrò il presidente russo, Vladimir Putin, a Helsinki. Non ce la dimenticheremo mai, quella conferenza stampa. Due giorni prima Trump dice che gli europei sono inaffidabili, due giorni dopo crede a tutto quello che gli dice Vladimir Putin.
E la Nato sta lì, nel mezzo. Preoccupata, ma non ferma: le esercitazioni congiunte in Georgia hanno fatto infuriare la Russia. Anche perché Stoltenberg ha detto: “Tbilisi entrerà nella Nato, e Mosca non può farci niente”. E’ quindi possibile che la festa dei 70 anni non vada benissimo.
Per evitare che i festeggiamenti diventino un disastro: cerchiamo di non parlare troppo di soldi, l’Alleanza atlantica è molto altro, è “l’unione di valori umani e politici”; dissipiamo tutte le voci di tradimento, se l’Esercito europeo è visto male dall’America, si possono trovare altre vie che rispecchino l’autonomia dell’Europa senza sminuire la forza della Nato. L’European Intervention Initiative introdotta da Emmanuel Macron lo scorso anno è un primo passo; un po’ di fiducia in se stessi non guasta. Il pil totale dei membri europei della Nato è dieci volte quello della Russia, che ha un’economia grande come quella della Spagna. I membri europei della Nato spendono tre volte e mezzo in difesa quel che spende la Russia. Certo, Mosca ha tredici volte le testate nucleari dei paesi europei della Nato, ma un po’ di deterrenza anche Francia e Regno Unito riusciranno a esercitarla, no?
Comunque, buon compleanno. Siamo belli insieme.
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