Dalla Catalogna libera ai neo-franchisti, metamorfosi della Lega
Il partito creato da Umberto Bossi era nato sulla scia dei movimenti regionalisti. Salvini ha scelto di stare con i nazionalisti e i centralisti e lunedì, alla riunione organizzata dalla Lega Milano, ci saranno gli esponenti di Vox
La trasformazione della Lega è giunta, a questo punto, alla sua conclusione. In origine quello creato da Umberto Bossi era un partito sorto sulla scia dei movimenti regionalisti, dopo un incontro con Bruno Salvadori, giornalista e militante dell’Union Valdôtaine. Oggi tutto è cambiato. Una Lega non più “Nord” (e tanto meno “Lombarda”) è ormai interprete di una logica nazionalista, perfino ben disposta a guardare con favore alle formazioni più aggressive e intolleranti.
Lunedì, a Milano, alla riunione organizzata da Matteo Salvini prenderanno parte anche i neo-franchisti di Vox. Si tratta di una formazione di estrema destra che ha conseguito un notevole successo politico – specie in Andalusia – a seguito della crisi catalana, nel momento in cui ha sposato le posizioni più autoritarie ed è perfino riuscita a essere ammessa sui banchi degli accusatori nel processo intentato contro l’opposizione politica dei separatisti catalani.
La presenza a Milano dei neo-fascisti spagnoli è emblematica, dato che si tratta di un partito che non nasconde la propria ideologia. Mentre il Partido popular ha solo legami storici “di fatto” con il franchismo (basti pensare al ruolo giocato da Manuel Braga Iribarne) ma non ha mai apertamente rivendicato una qualche continuità, con Vox tutto è chiaro. In ogni adunata si moltiplicano i saluti fascisti e le canzoni nostalgiche. Nel disegno dell’Europa immaginata da Salvini, però, le formazioni fasciste devono evidentemente essere parte di un’alleanza che esalta lo Stato nazionale e le logiche centraliste, che avversa le libertà individuali e il diritto all’autodeterminazione.
In tutto ciò vi è qualcosa di incredibile, poiché per decenni il progetto leghista ha guardato alle periferie degli Stati nazionali al fine di valorizzare ogni forma di libertà locale e autogoverno. Al centro della visione leghista c’erano la Valle d’Aosta e i cantoni svizzeri, la Bretagna, le Fiandre e – certamente – pure la Catalogna. Anche il primo ottobre 2017, in occasione del referendum promosso dal governo della Catalogna, tra gli osservatori internazionali ammessi dalla Generalitat figurava Roberto Ciambetti, uno dei leghisti di punta del Veneto e presidente del Consiglio regionale. In Parlamento e anche in qualche consiglio regionale gli eletti della Lega non hanno mancato, nei mesi scorsi, di farsi fotografare con i fiocchi gialli della simbologia catalana: per testimoniare la loro vicinanza a quanti, in Spagna, sono ingiustamente detenuti in attesa di giudizio.
Adesso tutto è cambiato, ma in questo modo Salvini inizia a prestare il fianco a chi non rinuncia a difendere la libertà di espressione, il pluralismo delle culture e il diritto delle comunità a governarsi autonomamente.
È significativo che proprio due giorni prima che i partiti nazionalisti e neofascisti s’incontrino a Milano, nella stessa città lombarda verrà presentato il progetto di una candidatura catalana nelle liste italiane per Bruxelles. Sabato 6 aprile, infatti, su iniziativa dell’avvocato penalista Renzo Fogliata e di un gruppo di avvocati, imprenditori e docenti universitari (soprattutto veneti) sarà illustrato il percorso individuato per candidare un ex-ministro della Generalitat catalana, costretto da più di un anno all’esilio a seguito della repressione spagnola.
Di fronte a uno Stato spagnolo in cui una parte processa un’altra, in cui quanti hanno il potere usano la magistratura per contrastare gli avversari politici, Salvini ha scelto di stare con i nazionalisti e i centralisti, con quanti non rispettano neppure le loro leggi. Dinanzi alla situazione scandalosa di un ordinamento giudiziario che sta subendo censure da ogni parte (al punto che vari tribunali di altri Paesi europei si sono rifiutati di consegnare Carles Puigdemont e gli altri esuli alla polizia spagnola), la Lega ha voluto stare con chi reprime e non con chi è ingiustamente privato della libertà.
Taluni elementi autoritari erano chiaramente riconoscibili anche nella Lega bossiana, basata sul mito di un capo incontrastato e su una totale mancanza di rispetto per quanti hanno idee diverse. Il cinismo politico di Bossi, per giunta, aveva intuito come il contrasto all’immigrazione incontrollata poteva essere un formidabile elemento di successo elettorale.
Salvini ha ripreso e sviluppato quanto ha ereditato dal Senatùr. Ha compreso che se italianizzava il partito e metteva da parte l’antimeridionalismo, gli si apriva la strada verso Palazzo Chigi. E ora pensa che un’alleanza di formazioni politiche post-fasciste, para-fasciste o anche dichiaratamente fasciste (come nel caso di Vox) possa rafforzarlo politicamente nel quadro europeo.
Cosa è rimasto di quello spirito autonomista in qualche modo germinato dall’Union Valdôtaine? Niente, assolutamente niente. Il nazionalismo ha avuto il sopravvento. La Lega di un tempo è ormai stata del tutto consumata e quella che ne ha preso il posto risponde ad altre logiche, anche perché è al servizio di ben precise ambizioni personali.
*Carlo Lottieri è direttore del dipartimento di Teoria politica dell'Istituto Bruno Leoni