Sondaggi e strategie delle elezioni in Israele
Benjamin Netanyahu potrebbe diventare il premier più longevo, ma servirà la calcolatrice per formare il nuovo governo
Milano. Le elezioni parlamentari in Israele sono già state ridefinite da mesi un referendum su Benjamin Netanyahu. Il destino politico e l’eredità del primo ministro sono consegnati, scheda per scheda, alle urne blu, il colore, assieme al bianco, della bandiera israeliana. Negli ultimi sondaggi prima del silenzio elettorale, venerdì, la destra del premier, candidato a un quinto mandato, ha ottenuto meno seggi del partito del suo principale e più credibile rivale, il generale Benny Gantz. Il Likud – secondo le proiezioni del quotidiano Yedioth Ahronoth – ha 26 seggi contro i 30 di Kahol Lavan, Blu e Bianco (altri rilevamenti danno un testa a testa). I sondaggi però in Israele sono stati spesso smentiti dall’esito del voto, e in ogni caso il risultato delle elezioni non sarà deciso martedì. Con la chiusura dei seggi si apre un tempo di negoziati e trattative: è da sempre quasi impossibile che un solo partito ottenga la maggioranza dei 120 seggi della Knesset, il Parlamento israeliano. Il presidente incarica chi sembra avere, a urne chiuse, la maggiore probabilità di ottenere una solida coalizione. E i sondaggi consegnano al blocco di partiti e movimenti di destra ed estrema destra suoi alleati la maggioranza di 63 seggi (altri parlano di 66). L’arte di formare una coalizione dà le chiavi del potere, e Netanyahu è da decenni un artista molto abile in questa disciplina. Se riuscisse anche questa volta – malgrado una possibile incriminazione per corruzione in arrivo – a tornare alla guida del paese, in estate diventerebbe il premier più longevo di Israele, dopo il padre fondatore David Ben Gurion.
Sotto la guida di Netanyahu, Israele ha conosciuto un’incredibile crescita economica e la sua amicizia con i presidenti Donald Trump e Vladimir Putin – che ha incontrato alla vigilia del voto – rafforza il sostegno della sua base. In un paese il cui elettorato è sempre più a destra, e in cui processo di pace e risoluzione del conflitto israelo-palestinese non sono temi elettorali da diversi anni, il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme e le più recenti dichiarazioni a favore del riconoscimento americano della sovranità sulle alture del Golan strappate alla Siria nella guerra del 1967 hanno portato a Netanyahu l’approvazione dei suoi elettori. Ed è proprio rivolgendosi a loro che il premier ha promesso in tv nel fine settimana che, se rieletto, annetterà gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi della Cisgiordania, senza entrare nei dettagli del possibile e controverso piano. “Non evacueremo nessuna comunità né divideremo Gerusalemme”, “uno stato palestinese metterebbe a rischio la nostra esistenza”, ha detto. Il premier assesta così un colpo all’idea di soluzione a due stati, che aveva per la prima volta sostenuto nel 2009 in uno discorso all’università Bar-Ilan di Tel Aviv. Si tratta di una dichiarazione inedita da parte di Netanyahu che vuole far convergere sul Likud e non su altri partiti più radicali il suo elettorato.
Allo stesso modo Netanyahu ha chiesto alla sua base di recarsi alle urne per evitare un governo di sinistra. Per il premier, la sinistra è rappresentata non più dall’indebolito Partito laburista, ma dal movimento centrista del suo principale avversario, il generale ed ex capo di stato maggiore Benny Gantz, alleato con altri due militari, Moshe Ya’alon e Gabi Ashkenazi, e con il giornalista Yair Lapid. Non è la prima volta che la politica israeliana genera un blocco alternativo al premier e dato per vincente. Nel 2015, i sondaggi avevano per diverse settimane annunciato il successo alle urne dell’Unione sionista, un’alleanza tra i laburisti, guidati allora da Isaac Herzog, e il movimento HaTnuah, dell’ex ministro degli Esteri Tzipi Livni. Oggi, Herzog e Livni sono fuori da questa partita e Netanyahu corre per un quinto mandato. Per la sinistra affaticata, la differenza la farebbe il voto arabo-israeliano, ma da anni l’afflusso alle urne del palestinesi in Israele è scarso. E’ diventato virale, in queste ore, il video di un rapper arabo, Tamer Nafar, che spinge gli arabi a non boicottare il voto: “Non significa che libereremo la Palestina, ma se serve a imprigionare Bibi, allora siamo pronti”.