Il supermanager Ghosn (e spaventata signora) nell'inferno giudiziario di Tokyo
Peripezie dell’inchiesta Nissan-Renault. L'ex tycoon di nuovo in prigione, la moglie a Parigi denuncia l’opaco sistema nipponico
Seul. La vicenda giudiziaria dell’imprenditore franco-libanese Carlos Ghosn, l’ex amministratore delegato di Nissan e Renault che un tempo era l’idolo dell’imprenditoria giapponese, somiglia sempre di più a un girone infernale: mentre i suoi sostenitori continuano teorizzare il complotto della società per far fuori lui e i suoi fedeli, e mentre lui non smette di respingere le accuse, inizia a venire fuori il vero problema, e cioè la realtà del sistema giudiziario giapponese. Ieri la moglie di Carlos, Carole Ghosn, è finita sui media giapponesi per varie interviste pubblicate domenica scorsa su quelli europei, tra cui il Financial Times e il Journal du Dimanche. La moglie dell’ex tycoon sarebbe scappata a Parigi perché “non si sentiva al sicuro” in Giappone, e in un’intervista a Rtl ha invocato l’intervento del presidente francese Emmanuel Macron: “Ho aspettato di sapere se Carlos sarebbe rimasto in prigione o se sarebbe potuto uscire in fretta. Quando gli avvocati mi hanno detto che non avrei potuto comunicare con lui per giorni, ho preso la mia decisione. Giovedì sera ho dormito dai vicini, su un divano. La polizia giapponese ha preso il mio passaporto libanese ma avevo ancora quello americano. E così venerdì sera l’ambasciatore francese mi ha accompagnato all’aeroporto”, ha spiegato Carole Ghosn, riferendosi più volte all’“ingiusto sistema giudiziario giapponese” che è in grado di trattenere in carcere il marito “senza alcuna prova contro di lui”.
Carlos Ghosn blames Nissan executives for “playing a dirty game” by orchestrating his arrest and incarceration, and calls it a "conspiracy" https://t.co/BWMjHt1He8 pic.twitter.com/Jh0zF8Acd5
— Bloomberg (@business) 9 aprile 2019
L’esposizione mediatica di Carole Ghosn è parte della strategia dei legali dell’ex presidente di Nissan per far luce su alcuni dettagli della vicenda giudiziaria, dettagli che il marito non ha potuto raccontare ai media perché dopo essere uscito con una cauzione da 9 milioni di dollari, controllato tramite videosorveglianza H24, è stato arrestato di nuovo: ventiquattro ore dopo aver convocato via Twitter una conferenza stampa. E quell’arresto, il 4 aprile scorso, è avvenuto alle 6 del mattino: una dozzina di poliziotti sono entrati nella casa di Tokyo dove Ghosn e la moglie dormivano, “e hanno cercato di umiliarci”, ha raccontato lei al New York Times, tentando di fargli firmare delle carte scritte in lingua giapponese e controllandola a vista per tutta la durata dell’operazione – perfino in bagno, durante la doccia. Secondo quanto riportato dalla tv di stato giapponese, la Nhk, la procura di Tokyo, avrebbe richiesto un interrogatorio della moglie di Ghosn che sarebbe volata a Parigi poco prima. E’ un sistema d’intimidazione che in Giappone si usa di frequente, per arrivare a una confessione, ha spiegato alla stampa il legale del tycoon. Su Facebook, Pio D’Emilia, yamatologo e corrispondente dal Giappone di SkyTg24, ha scritto che “uomini come Ghosn riescono a ‘resistere’, in qualche modo. Ma la maggior parte degli indagati finisce per cedere e confessare crimini non commessi e circostanze letteralmente inventate dagli inquirenti. Del resto il Giappone non è solo il paese della ‘produttività’ processuale (il 99,9 per cento dei processi penali finisce con una condanna: ma questo solo perché esiste la discrezionalità dell’azione penale e il rinvio a giudizio avviene solo ed esclusivamente quanto l’accusa è assolutamente certa di ottenere la condanna) ma anche degli errori giudiziari”.
Dal Dopoguerra ci sono stati oltre una decina di casi di condannati a morte assolti dopo anni di ricorsi e revisioni di processi, ma “mancano dati precisi sui casi minori: la stampa non ha una grande tradizione investigativa, soprattutto quando si tratta dell’autorità giudiziaria, e l’assenza di un organo di autogoverno come il Csm in Italia rende giudici e procuratori sottomessi al potere politico (esecutivo), dal quale di fatto dipendono per nomine, trasferimenti, carriera”. E come in tutte le società asiatiche c’è poi il problema dello stigma sociale, anche dopo una lunga battaglia legale. Alla fine ieri anche gli azionisti hanno fatto fuori Ghosn. Riuniti in un hotel di Tokyo, più di quattromila stakeholder di Nissan Motors hanno deciso di rimuoverlo dal board. Il “manager eroe”, autore di una delle fusioni più di successo del settore automobilistico, accusato di vari illeciti finanziari, è stato sostituito dal presidente di Renault Jean-Dominique Senard, e con lui è stato rimosso dal board anche Greg Kelly, americano, braccio destro di Ghosn accusato di aver coperto gli illeciti. Kelly era stato arrestato insieme con Ghosn a Tokyo il 19 novembre scorso, mentre rientravano in Giappone. Ma a metà dicembre aveva chiesto l’intervento della Casa Bianca per risolvere quella che considerava un’ingiusta detenzione e in effetti, dopo poco, era stato rilasciato. Ghosn, invece, era rimasto in carcere. La scorsa settimana il cda di Renault aveva aggiunto alcune accuse all’elenco delle autorità nipponiche, incolpando Ghosn per alcune “pratiche discutibili e occulte”, e di aver violato il codice etico aziendale.
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