Quel che è andato storto con Gantz
Tel Aviv. A un certo punto era partito persino il “poo poo poo”, il coro da stadio che accompagnò la vittoria dell'Italia ai Mondiali del 2006. Due sere fa, al quartier generale di Benny Gantz, lo sfidante centrista del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alle elezioni politiche di martedì, si respirava un'euforia vera. Pochi minuti prima, alle 22, i primi exit poll avevano dato il suo partito a 37 seggi contro i 33 del Likud di Netanyahu; e cosa più importante ancora, ipotizzavano una situazione di parità fra il blocco governativo e l'opposizione. 60 a 60. Per un'ora buona i volontari della campagna di Gantz – quasi tutti giovanissimi – hanno saltato e ballato ai piedi di un piccolo palco allestito all'Ocean, un locale di Tel Aviv un po' tamarro adattato all'occasione. Consulenti incravattati si scambiavano dei “cinque” e si chiamavano a diversi metri di distanza. Qualcuno ha persino tirato fuori un tamburo da stadio. “Abbiamo vinto”, scriveva Gantz via sms ai suoi sostenitori. Poi è successo qualcosa. Nessuno dei successivi exit poll ha confermato la stima del primo, e anzi tutti assegnavano a Netanyahu una maggioranza più larga di quella attuale. Tracce di sconforto, occhi a palla. Eppure, se si mette in prospettiva la parabola di Gantz, è difficile non definire quella di ieri come una vittoria. Quattro mesi fa il suo partito non esisteva. Lui era stato un apprezzato ma dimenticabile capo dell'esercito (si è sempre trovato al posto giusto al momento giusto, lasciava intuire un maligno profilo su Haaretz). Certo, si parlava della possibilità che si candidasse, ma come se ne parla di ogni capo dell'esercito. (Misculin segue a pagina quattro)
Dei 19 che lo hanno preceduto, soltanto tre poi non hanno fatto politica. Quando si decise a candidarsi nel dicembre del 2018, a molti Gantz sembrò comunque il candidato giusto per battere Netanyahu. Nato in un moshav agricolo da una famiglia di laburisti, ex militare con la fama di essere un tipo pragmatico, pareva proprio uno che poteva presentarsi dai moderati promettendo di essere migliore di Netanyahu, per poi girarsi verso sinistra e ricordare che qualsiasi cosa sarebbe meglio di un altro governo Netanyahu. Per un po' il gioco ha retto. Poi però sono arrivati nuovi razzi da Gaza, Netanyahu ha ottenuto da Donald Trump il riconoscimento della sovranità israeliana sul Golan, Gantz ha fatto una manciata di discorsi in cui la preoccupazione principale pareva quella di non deludere nessun elettore potenziale, e Blu e Bianco – il nome scelto per il nuovo partito – si è allontanato dai numeri dei primi roboanti sondaggi.
E' la stessa traiettoria compiuta martedì sera. Intorno alle 23, esaurita l'eccitazione del primo exit poll, una volontaria della campagna Gantz ha detto al Foglio: “Sono un po' preoccupata, questi risultati mi andrebbero bene”. La situazione doveva ancora peggiorare. Gantz si è fatto vedere a mezzanotte, con un discorso tutto sorrisi un po' surreale. “Sarò il primo ministro di tutti”, “sento una grande responsabilità”, e altre cose invecchiate prestissimo.
Alla fine Blu e Bianco avrà gli stessi seggi del Likud – 35 – ma Gantz sarà un generale senza esercito. Fra i partiti entrati in Parlamento ce n'è solo uno di sinistra (Meretz) e uno di sinistra (i laburisti), contro i quattro della destra nazionalista. Per capire cosa sia andato storto, conviene partire proprio da qui. Al posto di concentrarsi su come battere Netanyahu, selezionando in provetta il profilo più adatto per pescare i consensi necessari, forse l'opposizione dovrebbe ricostruire una offerta politica. La strada sarà sempre più stretta. Un sondaggio realizzato la scorsa settimana dall'Israel Democracy Institute mostra che fra i giovani Netanyahu è popolarissimo, specialmente nella fascia 18-24. Chi è nato e cresciuto con lui non si immagina nessuno altro come primo ministro, e forse non lo farà neanche in futuro.
I giovani dell'Ocean rappresentano allora una sparuta minoranza, perlomeno oggi, e non importa che solo adesso ci accorgiamo quanto poco siano rappresentativi della società israeliana: girano pochi ortodossi – zero haredim – le donne sono molte più degli uomini, tutti parlano inglese e sembrano usciti da un business party berlinese. A exit poll ormai lontani, una donna a piedi scalzi su una panca osserva i volontari e agita la bandiera israeliana e quella del partito. Lo fa con una certa inerzia, il viso tirato, e chissà se sta pensando la stessa cosa.
Luca Misculin