Perché chi ancora elogia Assange (come il M5s) è ingenuo oppure è in malafede
Il fondatore di Wikileaks è stato arrestato a Londra dopo sette anni trascorsi nell'ambasciata dell'Ecuador
Milano. Ormai da molti anni non è più possibile considerare Julian Assange un eroe. Poteva esserlo ai tempi dei leak del dipartimento di stato, quelli di Chelsea Manning, almeno agli occhi di chi era contrario alla guerra in Iraq e di chi credeva nell’idea della trasparenza assoluta. Poteva esserlo forse ancora al tempo del suo rifugio nell’ambasciata londinese dell’Ecuador, sempre che le due donne svedesi che lo accusarono di stupro e molestie siano le uniche a non essere credute in quest’epoca di #metoo (i procuratori svedesi hanno archiviato entrambi i casi, ma soltanto perché uno era andato in prescrizione e perché nell’altro, senza Assange disponibile, non era possibile seguire tutte le piste d’inchiesta. Gli svedesi dissero che se le condizioni fossero cambiate avrebbero potuto riaprire il caso di stupro). Agli occhi degli irriducibili, poteva essere un eroe perfino ai tempi dello scandalo Snowden, il whistleblower dell’Nsa che Wikileaks protesse e aiutò.
In tutti questi casi, il ruolo di Wikileaks e di Assange è sempre stato ambiguo e pieno di ombre, ma almeno c’era ancora qualche scarno materiale per consentire ai suoi sostenitori di dire: Assange è un paladino della libertà e della trasparenza. Ma tutte le scuse sono crollate quando Assange si è rivelato un fan esplicito dei governi autoritari, dalla Russia ai regimi latinoamericani, quando ha cominciato a diffondere fake news per evitare di rivelare i suoi coinvolgimenti equivoci, e soprattutto quando ha diretto Wikileaks per fare da megafono e diffusore di una campagna d’intelligence del Cremlino volta a destabilizzare la democrazia americana. Delle due l’una: o Assange è lui stesso un agente del disordine, oppure è un utile idiota. Lo stesso vale per i suoi sostenitori, che ancora ieri dopo il suo arresto inneggiavano all’eroe della trasparenza: lo fanno o per malafede o per ingenuità.
Giovedì mattina Assange è stato arrestato dalla polizia di Londra dopo sette anni trascorsi rinchiuso nell’ambasciata dell’Ecuador. Vi aveva trovato asilo dopo aver infranto la libertà vigilata per sfuggire all’estradizione in Svezia, dove lo aspettavano le accuse sopracitate di stupro, molestie sessuali e coercizione. L’arresto è avvenuto perché Lenín Moreno, presidente dell’Ecuador dal 2017, ha deciso di ritirargli l’asilo politico sostenendo che Assange abbia commesso numerose violazioni delle convenzioni internazionali sull’asilo. Il giorno prima dell’arresto, Wikileaks aveva denunciato l’ambasciata dell’Ecuador dicendo che teneva Assange sotto sorveglianza continua, e si era parlato di “sex tape” e di criminali che lo ricattavano: il grande spione è finito spiato. La polizia britannica ha arrestato Assange sia per l’infrazione della libertà vigilata, sia perché gli Stati Uniti hanno emesso una richiesta di estradizione per cospirazione nella violazione di un sistema informatico del governo americano (l’accusa è riferita al 2010, quando Chelsea Manning chiese aiuto ad Assange per violare la password di un computer del dipartimento della Difesa). Washington non ha emesso accuse di spionaggio.
Assange contesterà in tribunale le accuse e probabilmente cercherà di evitare l’estradizione, e i suoi sostenitori hanno il diritto di chiederne la libertà. Ma dopo dieci anni di Wikileaks considerarlo un eroe può essere soltanto un atto di ingenuità o di malafede. In Ialia, ovviamente, gli esponenti del M5s si distinguono per l’una e per l’altra. Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri, ha invocato su Twitter “libertà per Assange”, perché il fondatore di Wikileaks “promuove trasparenza e libertà”. Di Stefano, rappresentante del governo italiano, arriva a scrivere: “Amici britannici, il mondo vi guarda, l’Italia vi guarda”. Assieme al sottosegretario italiano, ovviamente, a difendere Assange c’è il ministero degli Esteri della Russia. Siamo in buona compagnia.