La trasparenza, ultimo rifugio delle canaglie
Ma quale ansia della verità. Gli adoratori di Assange hanno esaltato in nome della libertà di stampa una solenne turlupinatura, la favola losca di un agguato politico-elettorale
Il mito della trasparenza e del giornalismo investigativo dovrebbe essere custodito con argomenti robusti, persuasivi, e ce ne sono. Nel caso di Julian Assange questi argomenti non si vedono, al loro posto un guazzabuglio di faziosità e di stupidità. Il mondo è pieno di brutti ceffi che manipolano e sorvegliano in forme occhiute sistemi di decisione politica e civile chiusi, autoritari, sprovvisti di garanzie per il cittadino e per la pubblica opinione. Di questo mondo Assange non si è mai occupato, è notorio. Ha invece cercato di colpire con il pirataggio informatico la risposta militare e politica del governo degli Stati Uniti, del Congresso e del Pentagono agli attentati delll’11 settembre 2001, cioè la guerra che in Afghanistan aveva condotto all’arginamento del regime talebano e infine alla cattura di Bin Laden e quella che in Iraq ha portato all’eliminazione di Saddam e del suo sistema di potere baathista. Nel ricordo impreciso e falso di oggi, per molti quelle guerre sono state sporche, tutte le guerre d’altra parte lo sono, ma i risultati iniziali, contraddetti poi in parte dalla scelta politicamente corretta di subirne la criminalizzazione, furono puliti.
Sta di fatto che l’azione illegale e proditoria contro atti liberi delle democrazie aggredite dal jihadismo, quella di Wikileaks nel 2010, prende una luce ancora più sinistra dalle trame assangiste del 2016, quando in collaborazione con bei tipi come il trumpiano di spalla Roger Stone e altri il giornalismo investigativo trasparente di cui si blatera fu impegnato, a stretto contatto e in alleanza con i pirati informatici della Russia di Putin, nel tentativo, riuscito, di dare – di nuovo con mezzi illegali – una bella spallata per il candidato Donald Trump. Che cosa abbia a che vedere la trasparenza con il ricatto e l’agguato politico-elettorale, con il tentativo aggressivo e oscuro di boicottare il funzionamento della democrazia politica a vantaggio del banditismo e dei fake, questo non ce lo spiega nessuno degli adoratori settari dell’idolo opaco dell’investigative journalism e del whistleblower, spacciati per testimoni dell’eterea e translucida ansia di verità.
WikiLeaks, Julian Assange detenuto nella prigione di Wandsworth
Il problema è che Assange è un po’ punk, ha recitato per anni nello star system la parte del fuggitivo, del grande recluso, e sopra tutto aveva un bel gatto, Michi, del quale non si sa che fine abbia fatto, ciò che ovviamente preoccupa tutti noi, a partire da Amal Clooney, Lady Gaga e Pamela Anderson sue groopies (di Assange e di Michi). La favola è ulteriormente impreziosita da un militare americano fellone, Bradley Manning, che per soprammercato ha cambiato sesso in carcere, diventando Chelsea, e alla fine è stato/a graziosamente perdonato/a dal presidente Obama, un altro testimonial di qualità, e liberato/a dall’accusa, ma che volete che sia, di aver complottato in vari modi per dare un colpo al suo paese in guerra e ai suoi militari in azione. Ma è una favola losca, la storia di un’avventura, di una spy story in danno dei buoni e a vantaggio dei cattivi, che non ha niente a che fare con il Watergate e con i Pentagon Papers.
La trasparenza è l’ultimo rifugio delle canaglie. Il web è infestato dalla mania di manipolazione, ma è un fenomeno di moda, e un certo numero di tromboni si consente di esaltare, su fondo musicale new age, questa solenne turlupinatura. L’operazione, non si sa se più furba o più ingenua, è condotta in nome della libertà di stampa e di espressione, e questo fa ridere, naturalmente, e preoccupa. La libertà di informare e di essere informati è un protocollo liberale antico, inattaccabile, non la procedura anarchica e punk al servizio di regimi che di anarchico o libertario, e di punk, hanno nulla. Tutto questo è sotto gli occhi di chiunque voglia vedere. Un socio onorario di Assange, Edward Snowden, è da tempo rifugiato, beato lui, a Mosca, non ha avuto la ventura di finire nelle mani della diplomazia ecuadoriana a Londra. Si sa bene come sono andate le cose, chi ha guidato nell’ombra e chi ha tratto vantaggio dalla trasparenza opaca. Ma si deve fare finta di niente, divagare sulla distinzione tra segreti di guerra, violabili, e vicende #MeToo di alcova e di presunta violenza, inviolabili. Così da Corbyn a Barbara Spinelli arrivano le pedanti bordate in favore di questo eroe moderno del diritto a sapere, dal quale i magistrati svedesi vorrebbero sapere dettagli su rapporti che giudicano abusivi. Così procede, tra mitologie e impudenti discorsi a difesa dell’eroe, la storiaccia di Assange e dei suoi fanatizzati seguaci in occidente, a parte Michi che è un gatto simpatico.