Nell'inferno di Notre Dame
Un incendio devasta la cattedrale di Parigi, teatro di una tragedia della coscienza individuale e collettiva, il posto elettivo dell’inviolabilità e della fragilità. Fiamme immense, energia bestiale. Cronaca parigina di una nuova istantanea del terrore
Parigi. Alle sette e quaranta il tetto è crollato, senza rumore, con un passo leggero, ma tutto insieme e in un batter d’occhio, è crollato come un castello di carte, in un pomeriggio d’aprile sereno, terso, azzurro, e dopo un quarto d’ora dal ponte dell’Arcivescovado, tra la folla derelitta e incredula, tra le sirene di polizia e pompieri, ho visto sinistro e piangente il reclinarsi della flèche di Viollet-le-Duc, l’esile torre con la croce in cima, quindici minuti di un tempo di catastrofe sinistro, piangente. La cattedrale divorata dalle fiamme – fiamme immense, infernali, corpulente, cariche di energia bestiale, impossibili da controllare in un tripudio di fumo che era nuvola incongrua nel bleu du ciel – era al suo culmine simbolico, nella preparazione del Triduo pasquale. I dodici apostoli e i quattro evangelisti scolpiti erano appena stati rimossi nel corso dei lavori di manutenzione, ai quali per adesso si fa riferimento come causa della tragedia. L’anno scorso avevo seguito il rito del venerdì santo e del sabato santo, ore di letture bibliche legate alla comunione spirituale del fuoco, ogni concelebrante nelle panche aveva una candela a lunga durata ben custodita in un candeliere di carta, e alla fine dopo la processione, sul sagrato era sempre il fuoco a farla da padrone, il grande fuoco acceso nel parvis, la scena di tanta storia di Francia e delle meravigliose storie di Dumas e di Hugo, che dall’interno scintillava furioso e purificatore sullo sfondo della Préfecture de police, oltre la piazza e il monumento equestre a Carlomagno con i suoi palafrenieri.
Notre Dame de Paris è uno dei luoghi della storia e dello spirito più visitati al mondo, alla radio c’è chi piange all’idea che possa scomparire, essere ridotta integralmente in cenere. I parigini del quinto arrondissement hanno lasciato tutti i caffè, le panetterie, le farmacie, i fruttivendoli, e si sono recati a frotte, come un’inondazione umana, verso la cattedrale. Non ci credevano, almeno le loro facce non ci credevano. In mezzo a loro ragazzi e bambini sulle trottinette, ragazze sconvolte, turisti. La figura gotica eretta sull’Ile de la cité, tra una Senna e l’altra, con i suoi segni cabalistici, i suoi segreti, i suoi rifacimenti, è anche un testimone dell’occidente, della civilizzazione, realizzazione straordinaria del Dodicesimo secolo, sedimentazione di storia, d’amore e di ansia, d’autorità e di prestigio, che nemmeno i giacobini riuscirono a decidere di distruggere, malgrado ci avessero provato con un incendio dell’Arcivescovado, e di uno dei luoghi più sorvegliati, da anni militarizzato con discrezione e decisione.
E’ anche una chiesa vissuta, che era al centro della straccioneria medievale, della cura e del dolore dei lazzaretti, con l’Hôtel-Dieu alla sua destra, e il Pont au double alla sua sinistra, davanti a rue du Fouarre, il vico degli strami dove si racconta abbia studiato Dante Alighieri. Ma d’un tratto, nel mondo dell’11 settembre, del jihadismo, dello scontro di civiltà, un giorno di maggio di sei anni fa un intellettuale della destra apocalittica è entrato nella navata, ha raggiunto l’altare e si è sparato in segno di derelizione per la caduta dei valori occidentali tradizionali. Così Notre Dame è divenuta anche il teatro di una tragedia della coscienza individuale e collettiva, il posto elettivo dell’inviolabilità e della fragilità. C’erano stati anche maneggi terroristici subito dopo le sparatorie e le stragi del 2015, prima Charlie Hebdo e poi il Bataclan. Ma mentre andiamo in macchina, verso le nove di sera, con Macron sul luogo, e il paese in un lutto inimmaginabile, tutte le fonti continuano a non collegare l’incendio con i fuochi dolosi che hanno colpito pochi giorni fa Saint Sulpice e altre chiese in Francia, il paese in cui un prete, padre Jacques Hamel, fu sgozzato e martirizzato nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray dalla mano assassina di due ragazzi islamici. Le esequie della Cattedrale in cui furono sepolti i grandi, contraltare cattolico del Pantheon, ridotto a monumento laico dalla Rivoluzione, per adesso riguardano una casualità incendiaria. Ma a guardare quel rogo poco prima del tramonto gli spettri della passione storica in cui viviamo si sovrapponevano a quelli della passione di Cristo e di una delle sue grandi case di adorazione in pietra e charpente.
Dalle piazze ai palazzi