Ma davvero Huawei è posseduta dai suoi dipendenti? Uno studio dice: no
Il gigante cinese fondato da Ren Zhengfei concede ai suoi impiegati “quote virtuali”, contratti che garantiscono loro una frazione dei profitti
Milano. Uno dei grossi problemi quando si ha a che fare con Huawei, il gigante cinese delle telecomunicazioni al centro delle cronache di questi mesi, è la trasparenza della sua struttura societaria. Chi controlla Huawei? Chi prende le decisioni? Un nuovo studio a firma di due ricercatori americani suggerisce che ciò che Huawei ha sempre dichiarato a questo proposito non sia del tutto corretto, e che i legami con il Partito comunista cinese siano molto più espliciti di quello che sembra.
Huawei collabora con aziende e governi di tutto il mondo, è un attore importante nella corsa alla tecnologia 5G, ed è sotto osservazione continua proprio per i suoi legami presunti con il Partito comunista. Negli Stati Uniti, i prodotti e le forniture infrastrutturali di Huawei sono stati banditi perché considerati non affidabili. I governi europei, al contrario, da anni consentono l’accesso di Huawei alle loro infrastrutture, nonostante i dubbi dei servizi d’intelligence e le pressioni americane. Tanto per chi ha tenuto l’azienda fuori dalla porta quanto per chi l’ha fatta entrare, la domanda rimane la stessa: ci si può fidare di Huawei? Per rispondere, sarebbe opportuno capire chi prende le decisioni all’interno dell’azienda, chi la possiede e a chi risponde. Qui sorge il primo problema: Huawei non è quotata in Borsa, non ha gli obblighi di trasparenza delle aziende quotate (anche se rende noti i suoi risultati trimestrali come se fosse un’azienda pubblica) e tutto quello che si sa in occidente deriva dall’azienda stessa, che dice: i proprietari sono gli stessi dipendenti cinesi di Huawei. A Shenzhen, nel quartier generale, è perfino conservato un voluminoso archivio in cui sono elencati tutti i dipendenti che possiederebbero quote, prova di questa proprietà condivisa, perfettamente socialista, che garantisce equanimità e responsabilità.
Qui interviene il breve saggio intitolato “Chi possiede Huawei?”, scritto da Christopher Balding, professore associato di Economia alla Fulbright University Vietnam, e Donald Clarke, professore di Legge alla Law School della George Washington University. I due studiosi non si servono di fonti inedite, ma hanno accumulato molto materiale dai documenti ufficiali e dai media economici cinesi, che descrivono in maniera frammentata la situazione societaria di Huawei e che difficilmente vengono ripresi in occidente.
Il nome ufficiale della Huawei che conosciamo, quella che produce smartphone ed equipaggiamenti per il 5G, è Huawei Technologies. L’azienda, a sua volta, è controllata interamente da una holding che si chiama Huawei Investment & Holding. La holding ha due proprietari: Ren Zhengfei, il fondatore, ne possiede l’1,14 per cento. Tutto il resto della holding, il 98,86 per cento, è in mano a un ente che si chiama Comitato di sindacato di Huawei Investment & Holding (nel testo originale: Huawei Investment & Holding Company Trade Union Committee). Il fondatore Ren Zhengfei possiede soltanto l’1 per cento, ma ha un potere speciale: il diritto di veto su tutte le decisioni, che può essere trasmesso in eredità.
Immagine dallo studio di Balding e Clarke |
E la storia per cui sono i dipendenti a possedere l’azienda? In realtà i dipendenti non possiedono quote di Huawei. Possiedono “quote virtuali”, cioè contratti che garantiscono loro una frazione dei profitti. Questi contratti non sono, sostengono i due studiosi, delle partecipazioni concrete: se Huawei fallisse domani i suoi asset, una volta ripagati i debitori, non andrebbero ai dipendenti/azionisti. Se un dipendente lascia Huawei, non può portare con sé le sue “quote”. In teoria, i “dipendenti azionisti” eleggono ogni cinque anni una Commissione dei rappresentanti che a sua volta elegge i consigli direttivi, ma è impossibile capire chi abbia diritto di voto e con quale peso (in base alle “quote” possedute? un voto a ciascun dipendente?). Per questo, sostengono Balding e Clarke, i dipendenti di Huawei sicuramente non possiedono l’azienda, e si può dire con quasi altrettanta certezza che non la controllano.
E dunque cos’è il “comitato di sindacato” che controlla Huawei al 99 per cento? Qui ci sono due ipotesi. La prima è che questa entità non sia un vero sindacato, ma qualcosa di diverso di cui Huawei dovrebbe spiegare la natura. Se invece è un vero sindacato, allora la risposta è semplice, sostengono i due studiosi: significa che Huawei è controllata de facto dal Partito comunista cinese. In Cina i sindacati sono enti parastatali uniti sotto la Federazione nazionale dei sindacati cinesi, il cui capo siede nel Politburo. Si tratta di organi affiliati allo stato, controllati dallo stato, i cui dipendenti ricevono stipendi dalle casse dello stato cinese. Funziona così anche l’ente che possiede Huawei al 99 per cento? Poiché la struttura societaria di Huawei non è trasparente, è impossibile dirlo.
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