La forza relativa dello spagnolo Sánchez alla prova del dibattito tv
Le prevaricazioni del segretario del Psoe, che alle prossime elezioni punta a diventare uno dei leader di centrosinistra di maggior peso in Europa, potrebbero costargli dei voti
Milano. Quando Pedro Sánchez ha indetto le elezioni anticipate in Spagna, all’inizio della primavera, sapeva di poter giocare da una posizione di forza. I tre partiti di destra (la destra del Partito popolare, la destra estrema di Vox e la destra moderata di Ciudadanos, che da qualche tempo ormai ha smesso di essere un partito centrista) erano avanti nei sondaggi e tutti assieme superavano il 50 per cento dei consensi, ma Sánchez sapeva che fare la campagna elettorale al governo conviene sempre, specie quando l’annuncio del voto coincide con l’approvazione di un bel pacchetto di spesa con aiuti alle famiglie, sgravi fiscali e aumento indiscriminato del salario dei dipendenti pubblici. In questi mesi scarni di campagna, Sánchez ha mostrato la sua forza. Il Partito socialista di cui è leader (Psoe) ha recuperato costantemente nei sondaggi, complici la crisi di Podemos (nessun nemico a sinistra) e la gran frammentazione della destra, che ancora non ha capito se lottare per i voti moderati o per i voti populisti. Sánchez è arrivato a fare dichiarazioni roboanti ma non del tutto prive di fondamento come: “Sono io l’unico moderato in corsa” (è vero se si considera che sia il Partito popolare sia Ciudadanos sono pronti ad allearsi con i neofascisti di Vox, come già hanno fatto in Andalusia). Alla fine, l’ultimo sondaggio del Cis, il più accreditato di tutti, ha mostrato che il leader socialista spagnolo ha ottenuto un eccellente risultato, quantomeno numerico: l’ingovernabilità. I dati dicono che le destre hanno perso voti e sono scese sotto al 50 per cento, mentre le sinistre ne hanno guadagnati ma non abbastanza da raggiungere il 50 per cento.
Sánchez si è ringalluzzito, anche perché comunque vada il suo Psoe sarà il primo partito del paese con più del 30 per cento, e questo farà di lui uno dei leader di centrosinistra di maggior peso in Europa. L’ultima prova di forza, tuttavia, potrebbe costargli dei voti.
I politici spagnoli litigano da giorni attorno al dibattito televisivo pre elettorale. Inizialmente, Sánchez aveva stupito tutti dicendo che avrebbe snobbato il dibattito organizzato da Rtve, l’emittente pubblica spagnola, perché all’evento non era stato invitato Vox. Avrebbe partecipato, il prossimo 23 aprile, al dibattito della rete privata Altresmedia, in cui Vox era incluso (Sánchez ci tiene a mostrare al suo elettorato che a destra si alleano con i fascisti). Ma due giorni fa è intervenuto il Comitato elettorale, dicendo che Vox non può partecipare a nessun dibattito perché non ha rappresentanza parlamentare. Così Sánchez è tornato da Rtve, ma con un’imposizione: il dibattito della rete pubblica dovrà essere il 23 aprile (inizialmente era stato previsto per il 22), in maniera tale che gli altri partiti siano costretti a scegliere: dibattere a Rtve con Sánchez o dibattere ad Altresmedia senza Sánchez? La forzatura non è piaciuta a nessuno. Gli altri partiti hanno detto di aver già preso un impegno con Altresmedia, e che lasceranno Sánchez da solo. I dipendenti di Rtve si sono rivoltati contro la presidente del canale pubblico, Rosa María Mateo, che, dicono, si sarebbe lasciata condizionare dal governo nella decisione di spostare la data del dibattito. Perfino il moderatore del dibattito di Rtve, Xabier Fortes, ha fatto sapere di essere in “assoluto disaccordo con la decisione della presidente di Rtve di modificare la data fissata per il dibattito e spostarlo nel giorno già previsto da una rete privata, contraddicendo così l’immagine di indipendenza di Rtve per la quale abbiamo tanto combattuto”.
Ancora non si sa quanti dibattiti ci saranno e chi dibatterà con chi, ma intanto, negli ultimi due giorni, la forza di Sánchez sembra essersi trasformata in prevaricazione. Non è un bel segnale per un leader che sostiene di essere l’unico moderato in circolazione.