Le elezioni col broncio
Bel guaio questi inglesi tormentati alle europee, con il Brexit Party a rafforzare gli euroscettici
Milano. Il Brexit Party di Nigel Farage, ex leader dell’Ukip e brexiteer di ferro, va forte nei sondaggi in vista delle europee – quelle europee cui il Regno Unito non avrebbe nemmeno dovuto partecipare e che si stanno rivelando un altro show della spaccatura inglese sull’Unione europea. Nelle rilevazioni degli ultimi tre giorni, il neopartito di Farage – ha lanciato la campagna elettorale questa settimana e al Mail dice di essere molto “eccitato” dal gran sostegno che sta riscontrando – è dato davanti a tutti (27 per cento nel primo sondaggio, 23 nel secondo), con il Labour subito dietro e i Tory al terzo posto. Il Brexit Party ha fatto schiantare i consensi dell’Ukip – quasi dimezzati – che attacca il suo ex leader dicendogli che pensa soltanto a se stesso e fonda partiti per autocelebrarsi: Farage, ineffabile, risponde che la colpa del collasso dell’Ukip non è sua, ma dei leader ukippers, “che barcollano verso l’estremismo” (no, non è una battuta). Intanto continua ad attirare elettori e politici che considerano un tradimento il prolungamento della Brexit – che può esserci o il 22 maggio o il 30 giugno o il 31 ottobre, dipende se l’accordo siglato dalla premier, Theresa May, con l’Ue passa il vaglio della Camera dei Comuni – per non parlare dell’ipotesi di un secondo referendum (George Galloway, ex laburista, russofilo, assadista, filo Hamas e amico del fu Saddam Hussein, ha detto che farà campagna con il Brexit Party contro gli “eurofanatici”, giusto per confermare che l’estrema destra e l’estrema sinistra, in materia di Europa e di liberalismo, sono tutt’uno).
L’effetto si è subito sentito anche a livello europeo: se la presenza del Regno Unito a questa tornata elettorale ha fatto saltare molti piani sulla redistribuzione dei seggi all’EuroParlamento, causando più di un fastidio a Spagna, Francia, Olanda e Italia che più degli altri ne avrebbero beneficiato, la brigata euroscettica ha ottenuto un bel balzo. Continuiamo a considerare le elezioni europee come una sommatoria di elezioni nazionali, ma poi l’effetto complessivo si vedrà nelle istituzioni europee che già hanno grandi problemi di legittimità – il famoso “deficit democratico” dell’Unione europea – e che dopo il voto di fine maggio dovranno fare i conti anche con una frammentazione paralizzante. Secondo le proiezioni pubblicate ieri, il blocco euroscettico raggiungerebbe il 25 per cento, grazie anche alla presenza del Brexit Party. I popolari e i socialisti (Ppe e Pse) perdono dieci punti complessivamente, e la maggioranza nell’aula di Strasburgo sarebbe garantita soltanto dalla stampella dell’Alde, il gruppo liberale, e dal partito di Emmanuel Macron, En Marche.
Se i brexiteers stanno trovando in Farage il loro leader – dalle parti dei Tory c’è, dicono, grande rassegnazione – gli anti Brexit continuano a procedere disuniti. Il sistema è proporzionale, si giustificano, ma tante campagne elettorali differenti non ne fanno una incisiva. I fuoriusciti dai Tory e dal Labour, ex Independent Group accolto alle europee con il nome Change Uk, è all’8 per cento nelle proiezioni, ma ha già fatto una figuraccia che molti stanno facendo pesare: il loro partito non avrà un logo sulla scheda, è stato bocciato, anche perché conteneva l’hashtag #change. Dettagli, si dirà, ma come scrive Phil McDuff sul Guardian, la forma è sostanza, e se lo slogan è “change”, undici anni dopo Obama, c’è qualche problema più profondo nell’offerta centrista inglese. Change Uk è tutto da fare, era un movimento di principio e oggi deve fare la lista dei candidati e inventarsi una struttura elettorale che non ha. Per di più da solo, perché i Verdi (10 per cento) e i Lib-dems (9) non hanno unito le forze, pur essendo tutti insieme più forti del Brexit Party. Per di più l’idea di un secondo referendum è complicata perché gli inglesi sono terrorizzati da un’altra conta, e questo continuo votare sta rafforzando soltanto i più duri (brexiteers). Si può ancora invertire la rotta, dice qualcuno: uniamoci e mettiamo in lista un personaggio di peso, uno che possa davvero fare da contrappeso a Farage, che ha un’esperienza ventennale e il vento in poppa. Circolava ieri tra i remainers preoccupati il nome di Tony Blair.