Perché il 2019 sarà un anno terribile per il giornalismo in Turchia
Sono previste molte sentenze contro i giornali d’opposizione, e i tribunali sono sottomessi al governo. Parla Onderoglu
Albert Camus scriveva: “Mi piacerebbe poter amare il mio paese e amare ancora la giustizia”. Questo è ciò che deve aver pensato Erol Onderoglu, giornalista e rappresentante di Reporter senza frontiere (Rsf) in Turchia, quando nel giugno del 2016 fu arrestato per aver assunto la direzione “solidale” del quotidiano filo-curdo Ozgur Gundem, rimasto senza guida e con mezza redazione in carcere a causa di una campagna repressiva del governo turco. Rilasciato dopo 3 mesi, il 15 aprile ha esposto con fermezza la sua memoria difensiva alla Corte che a luglio dovrà emettere la sentenza del processo in cui è imputato con lo scrittore Ahmet Nesin e l’accademica e attivista per i diritti umani SŞebnem Korur Financi. L’accusa è di “propaganda terroristica” per aver partecipato all’azione di solidarietà a sostegno del giornale. La rete di organizzazioni internazionali di tutela e difesa dei giornalisti e la libertà di espressione ha da subito animato una campagna per chiedere l’assoluzione da ogni imputazione per tutti gli imputati, che rischiano condanne fino a 15 anni di carcere. Prendendo la parola in aula Onderoglu ha ricordato che il procedimento si trascina da quasi tre anni, durante i quali il pubblico ministero non è riuscito a produrre alcuna prova. Nell’udienza precedente, lo scorso febbraio, il procuratore aveva pronunciato una requisitoria durissima chiedendo la condanna di tutti gli accusati per “incitamento al terrorismo e alla criminalità” anche se l’unico loro crimine era stato dimostrare vicinanza alla redazione di Ozgur Gundem.
Il rappresentante di Rsf in Turchia, che non ha mai avuto timore di continuare a contrapporsi alle repressioni e alle limitazioni delle libertà di stampa e di pensiero nel suo paese, anche in queste ultime fasi del processo non ha manifestato tentennamenti. “Non mi aspetto nulla da un procedimento parziale – ha detto Onderoglu al rinvio della sentenza – ci propineranno un verdetto che non sarà giuridicamente motivato. La sensazione è che la magistratura invece di accertare la colpevolezza dei reati che contesta mantenga una posizione in cui l’imputato deve dimostrare la propria innocenza per reati mai commessi. Finora le Corti dei processi a carico di giornalisti non sono riuscite a dimostrare di essere indipendenti dal governo”.
Nelle prossime settimane un altro tribunale si esprimerà sugli imputati del processo Cumhuriyet, storica testata di opposizione che ha visto decimata la propria redazione e i vertici editoriali. In 18 sono finiti sul banco degli imputati. Alcuni sono già tornati in prigione. Altri attendono l’ultimo giudizio. E’ apparso evidente a tutti gli osservatori internazionali che si trattasse di sentenze politiche.
“L’alto livello delle violazioni dei diritti umani e degli abusi giudiziari in casi simbolici, come Cumhuriyet o Zaman (altra testata di opposizione) ha da tempo screditato la posizione del governo – prosegue Onderoglu – Il 2019 sarà l’anno in cui dozzine di colleghi torneranno in prigione, questa volta non più in detenzione preventiva, ma da condannati”.
Giornalista e rappresentante di Reporter senza frontiere, Onderoglu è stato arrestato nel 2016 per aver accettato la direzione di un giornale filocurdo. Ha trascorso tre mesi in prigione, ed è ancora sotto processo. Al Foglio racconta le tattiche di repressione del governo e le violazioni dei diritti umani
Unica speranza che qualcosa cambi è rappresentata dalla Corte Suprema, ma potrebbe essere troppo tardi. “Ci sono molti procedimenti pendenti su verdetti di colpevolezza, alcuni potrebbero essere ribaltati. Ma l’aspetto spiacevole è quando un giornalista ha pagato anticipatamente con molti mesi o anni di reclusione a causa di accuse senza prove. Quando l’Alta Corte interviene, nella maggior parte dei casi il danno è fatto”, dice Onderoglu. Il punto centrale è proprio questo. L’abuso da parte dei giudici della misura del carcere preventivo.
Molti procuratori hanno iniziato a chiedere arbitrariamente l’incarcerazione di quei giornalisti che denunciavano le storture e le responsabilità del governo di Erdogan. Onderoglu rileva come sia stato applicato lo stesso modus operandi anche per attivisti dei diritti umani e intellettuali al centro di procedimenti giudiziari politicamente motivati. “Questi giudici hanno tutti lavorato massicciamente per screditare la magistratura. Sfortunatamente, Erdogan ha distrutto la struttura delle istituzioni democratiche e la loro cultura a lungo termine”, sostiene Onderoglu. I tanti processi a carico di operatori dell’informazione ed esponenti della cultura turca, sospettati di aver sostenuto la presunta rete golpista, sono stati costruiti su articoli o apparizioni televisive. Nessuna base giuridica. Nonostante ciò si sono conclusi la maggior parte con la condanna degli imputati, elemento che ha certificato in qualche modo che lo stato di diritto nel paese sia compromesso, se non addirittura morto. Per Onderoglu, senza una ricostruzione affidabile del sistema nel suo insieme, a cominciare dalla sua indipendenza, la giustizia sarà percepita come un burocrate che applica le istruzioni del governo.
La situazione dell’informazione va di pari passo con quella della magistratura. Di fatto la maggior parte dei media turchi è imbavagliata, pochi i baluardi di indipendenza e credibilità. Secondo Onderoglu il governo ha colto l’opportunità del vento globale che spinge verso la disintermediazione per imporre un consolidamento politico, un asse sulla visione islamo-nazionalista. In questo clima, investigare, informare o criticare non è tollerato. Negli ultimi mesi, molti giornalisti sono stati condannati per aver scritto su Panama e Paradise Papers e corruzione politica. Per l’esponente di Rsf, il deterioramento dei valori e degli standard democratici è una tendenza che colpisce anche le società europee.
Le responsabilità europee
La comunità internazionale ha grandi responsabilità verso la deriva di questa realtà che si proponeva come ponte ideale tra l’Europa e l’oriente. Secondo Onderoglu, è dunque troppo tardi per trattare la Turchia come una “cattiva studentessa” e bacchettarla per ottenere un cambio di passo, quando persino molte nazioni europee ostentano abitudini controverse in materia di diritti e di libertà di espressione.Le aspettative del popolo turco, che alle scorse elezioni amministrative ha manifestato un forte malessere nei confronti delle politiche di Erdogan, infliggendogli nelle urne la prima vera (seppur parziale) sconfitta, per ora rimangono disattese e lo rimarranno fino a quando i diritti umani non rappresenteranno una priorità incondizionata su scala globale. Fino a quando non si riuscirà a porre un freno agli attacchi alle strutture democratiche, sarà estremamente difficile per chi in Turchia propende per una migliore ed equa società riuscire ad affermare questi valori.