(Foto LaPresse)

Le elezioni libere in Ucraina sono il primo colpo di Zelensky a Putin

Anna Zafesova

La vittoria dell'ex comico mostra che si può essere etnicamente russi e avere come modello la democrazia. Gli oppositori del Cremlino cantano vittoria

Milano. “Come ucraino mi rivolgo agli ex concittadini dell’Urss: guardate l’Ucraina, tutto è possibile”. Il primo gesto di Vladimir Zelensky è di gettare una bomba nel cortile del vicino russo, e infatti il Cremlino si rifiuta clamorosamente di congratularsi per la vittoria con il nuovo presidente ucraino. Il primo russo a congratularsi “con l’Ucraina e gli ucraini” è invece Alexey Navalny, che fa subito sua l’immagine del Davide che batte il Golia del potere di Zelensky e sottolinea il messaggio dirompente che arriva dal paese ex fratello: a Kiev si tengono elezioni libere, a Mosca no.

 

L’unica cosa che l’ormai ex comico ucraino ha in comune con Putin sono i numeri elettorali: ha vinto al ballottaggio con il 73 per cento dei voti (con il 62 per cento di affluenza alle urne), e non c’è più niente da ridere. Ha vinto in tutte le regioni tranne Lviv, assorbendo sia il voto nazionalista che quello dell’est russofono, lasciando a Petro Poroshenko il 24 per cento dei voti. Ha conquistato il voto degli under 35 e quello dei militari, che rimproverano a Poroshenko non la guerra, ma il modo fallimentare in cui l’ha condotta. Il presidente uscente è riuscito a salire solo di 5 punti rispetto al primo turno, complice anche una campagna elettorale estremamente aggressiva: ha accusato il suo avversario di essere cocainomane e marionetta contemporaneamente degli oligarchi ucraino-israeliani e di Putin, per concludere con uno spot che mostrava Zelensky travolto da un camion. Lo spostamento graduale del moderato Poroshenko verso i nazionalisti radicali non ha pagato: il suo slogan nazional-conservatore “Esercito. Lingua. Fede” è suonato troppo datato e divisivo rispetto al “paese del XXI secolo” e “Facciamolo insieme” del suo avversario.

  

In una sceneggiatura politica mai vista prima, Zelensky diventa presidente dell’Ucraina dopo averlo interpretato per tre stagioni nella sua serie di successo “Servo del popolo”. Al plot del giullare che sfida il re ha contribuito lo stesso Poroshenko, proponendosi putinianamente come colui cui non ci può essere alternativa. L’assordante risultato elettorale è figlio di speranze impossibili da realizzare in tempi brevi: l’Ucraina detiene il triste primato del paese più povero d’Europa e la campagna contro la corruzione che ha reso popolare il personaggio televisivo e politico di Zelensky dovrà essere condotta in un complesso sistema di clan politici, oligarchici e regionali, dove il negoziato è d’obbligo (e infatti Poroshenko ha già offerto all’ex nemico il suo sostegno ottenendo in cambio la promessa di un ministero).

 

Ma in cima all’agenda c’è il problema Russia. L’argomento “con o contro Mosca” è oggetto di dibattito ormai solo fuori dall’Ucraina, ma realizzare la promessa elettorale di far finire la guerra nel Donbass e riportare a casa i territori in mano ai guerriglieri filorussi insieme alla compensazione dei danni che Zelensky vuole da Putin non sarà facile. Anche perché il Cremlino continua a non riconoscersi come controparte del conflitto, insistendo che Kiev deve negoziare con le “repubbliche popolari” del Donbass invece che con Mosca.

Ma ancora prima di vedere se il brillante showman Zelensky sarà un maestro dell’improvvisazione anche nella diplomazia, ha già assestato un colpo al Cremlino. I media russi hanno seguito da vicino la campagna elettorale, ma la direttiva di ridicolizzare il paese scappato da Mosca ha avuto un effetto boomerang: nel raccontare che gli ucraini sono talmente malridotti da aver eletto un pagliaccio hanno inavvertitamente rivelato ai russi l’esistenza di elezioni vere, nelle quali uno sfidante può criticare il potere e i giornalisti interrompono il capo dello stato perché ha sforato il cronometro durante il confronto finale. È il motivo per cui Navalny – un altro quarantenne postsovietico – ha tifato Zelensky (che lo cita nei suoi film). Attaccare Zelensky con la consueta propaganda russa sui “nazisti ucraini” sarà difficile: un presidente di origini ebraiche e di lingua russa toglie a Putin il monopolio sull’identità nazionale e dimostra che si può essere etnicamente russi e avere come modello politico l’Europa e la democrazia. Un’alternativa che sia Putin sia Navalny dimostrano di aver capito subito.

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