Militari perlustrano la zona della chiesa di San Sebastiano a Negombo (foto LaPresse)

Come leggere la rivendicazione dell'Isis

Daniele Raineri

Le implicazioni enormi del comunicato sull’attacco in Sri Lanka

New York. Lo Stato islamico ha rivendicato il massacro di 321 persone in Sri Lanka perché erano “cristiani in guerra” e perché appartenevano “ai paesi della Coalizione”. “Cristiani in guerra” è una categoria usata dai fanatici dello Stato islamico per indicare i cristiani che non si sono sottomessi a un patto con il Califfato, che prevede la coesistenza con i cristiani soltanto dopo un accordo di resa con il capo Abu Bakr al Baghdadi. Fino al febbraio 2017 la necessità del patto non riguardava anche i cristiani fuori dai confini del territorio dello Stato islamico, ma poi lo Stato islamico ha sostenuto che in Egitto i cristiani copti sono di fatto alleati con il governo egiziano e quindi sono “cristiani combattenti” e vanno combattuti – dove “combattere” vuol dire fare strage con una bomba durante la messa di Pasqua come è successo in Sri Lanka (in Egitto attaccarono le chiese due mesi dopo il comunicato, durante la domenica delle Palme 2017). Per giustificare gli attacchi ai cristiani prima del 2017, come la strage di copti sulla spiaggia di Sirte nel gennaio 2015, lo Stato islamico si appellava a un episodio di rapimento (una notizia mai verificata) di due donne musulmane in un convento del Sinai “avvenuto” nel 2010. Ma poi è arrivato questo cambio ancora più brutale della dottrina, la sua applicazione è stata estesa e le messe sono diventate un bersaglio in tutto il mondo – e infatti è già successo anche in Pakistan e poi nelle Filippine. In occidente non ci facciamo caso perché siamo considerati tutti bersagli già come occidentali sempre e in ogni luogo, ma la guerra ai cristiani del mondo “se non hanno stretto un patto di sottomissione” (quindi: tutti) è un’estensione che ha implicazioni enormi.

 

  

Il comunicato dello Stato islamico di martedì non nomina l’attacco di marzo alla moschea di Christchurch in Nuova Zelanda da parte di un suprematista bianco e considerata la complessità del massacro – avvenuto con bombe e sette attentatori suicidi in tre città diverse dello Sri Lanka – è certo che fosse in preparazione già da prima, da qualche mese almeno. Al limite si può ipotizzare che prima i bersagli scelti fossero altri, come ambasciate e luoghi affollati da turisti, e che poi lo Stato islamico abbia deciso di prendere di mira le chiese. Ma perché avrebbe dovuto? Lo Stato islamico, come si è detto, non aveva bisogno di una strage in moschea per fare attentati contro i cristiani e le chiese. Inoltre attaccare la minoranza cristiana e i turisti europei è anche il modo migliore per ricevere l’attenzione dei media e riscattare agli occhi dei simpatizzanti la fine territoriale e ingloriosa del gruppo in Siria, avvenuta un mese fa.

 

Il comunicato nomina anche “i paesi della Coalizione” internazionale che con la copertura aerea e da terra hanno svolto una parte indispensabile per distruggere lo Stato islamico inteso come giunta islamista che governava un territorio a cavallo di Iraq e Siria. Le vittime sono soltanto turisti stranieri uccisi a caso perché si trovavano nel luogo sbagliato, ma per lo Stato islamico non esistono civili innocenti perché i governi occidentali sono eletti dalla popolazione. Ricordiamo che domenica lo Stato islamico ha lanciato un attacco in Arabia Saudita che è finito in modo molto deludente – i quattro attentatori volevano fare cinquanta, sessanta vittime in un comando militare secondo un documento visto dal Foglio ma hanno ottenuto l’unico risultato di farsi ammazzare. Se anche quell’attacco fosse riuscito, in un giorno soltanto il gruppo avrebbe parlato di un massacro di cristiani e di un massacro di militari sauditi.

 

Spiegato il comunicato arrivato dopo le bombe e l’allargamento dei bersagli fino a includere tutti i cristiani, c’è da spiegare che lo Stato islamico ha compiuto un’operazione così vasta in Sri Lanka cooptando un gruppo islamista locale, come sta facendo anche in altre parti del mondo. E’ un accordo da cui entrambe le parti hanno ricavato un beneficio. I locali che prima erano quasi irrilevanti hanno avuto a disposizione gli strumenti e le capacità per fare l’attentato più grave della storia dello Stato islamico e il nome del gruppo terroristico più seguito al mondo. Lo Stato islamico in cambio ha avuto la manovalanza locale – che probabilmente è stata contattata e istruita da persone che sono state in Siria e in Iraq. 

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)