L'euroscetticismo a parole degli eurocritici del Ppe. Uno studio
I sovranisti alla Orbán usano toni duri contro l’Unione ma poi votano in conformità alle direttive del Partito popolare europeo
Roma. Si può essere sovranisti, fortemente critici nei confronti dell’Unione Europea e al contempo far parte di un grande gruppo politico-parlamentare a Strasburgo, votando quasi sempre in osservanza delle sue direttive? Sì, si può. Anche se sei Viktor Orbán e il tuo partito, Fidesz, è stato sospeso dal Ppe. Il premier ungherese teorizza e pratica un sistema fortemente restrittivo della libertà personale nel suo paese, di recente ha paragonato in maniera neanche troppo velata l’Unione sovietica all’Unione europea, e ha chiamato gli euroscettici a unirsi sotto la bandiera della rivolta: “Bruxelles è governata da persone che vogliono costruire un impero europeo anziché un’alleanza di nazioni libere”. Eppure, nonostante il continuo esercizio muscolare espresso a livello di comunicazione politica, Fidesz nella legislatura europea che si è appena conclusa non ha espresso posizioni molto difformi dal Partito Popolare Europeo. Lo testimonia una ricerca dell’Istituto Cattaneo che analizza il comportamento al parlamento europeo di Ovp - Österreichische volkspartei, il partito Popolare austriaco guidato da Sebastian Kurz, e dell’ungherese Fidesz – Fiatal demokraták szovetsége di Viktor Orbán.
Scarica lo studio dell'Istituto Cattaneo
Entrambi sono partiti aderenti al Partito popolare europeo ma i rispettivi leader, Kurz e Orbán, hanno - e questa è una precisazione doverosa da fare, che la ricerca del Cattaneo non pare tenere in considerazione - un profilo diverso. Il cancelliere austriaco, osservava il 24 aprile sul Foglio Micol Flammini, “ha costruito il suo equilibrio disinvolto tra i princìpi di una società chiusa come quella austriaca e i valori di una comunità aperta come quella europea”. Governa sì con l’Fpö di Heinz-Christan Strache, l’estrema destra austriaca, euroscettica e razzista, ma è riuscito a tenerla a bada, respingendo l’estremismo dei suoi alleati. Orbán invece è il teorico della democrazia illiberale e non se ne vergogna, tant’è che gli stessi parlamentari di Kurz a settembre hanno votato a favore delle sanzioni dell’Europa contro l’Ungheria: “Non si fanno compromessi sullo stato di diritto”, ha detto il cancelliere austriaco. Insomma, Kurz ha molte facce e ancora non è chiaro quale sia la sua identità, a differenza dell’illiberale Orbán.
Detto questo, se vogliamo capire la distanza che c’è in politica fra quel che si dice e quel che si fa (e in questo caso verificare l’euroscetticismo a parole degli euroscettici) bisogna analizzare il tasso di lealtà rispetto alle indicazioni del gruppo parlamentare europeo di appartenenza, in questo caso il Ppe. Secondo l’elaborazione dell’Istituto Cattaneo su dati www.votewatch.eu, la conformità rispetto alle posizioni del gruppo popolare è altissima, superando per tutti e due i partiti - Ovp e Fidesz - la media complessiva del gruppo del Ppe che invece si attesta al 93,8 per cento. Percentuale che nel caso di Fidesz arriva fino al 94 per cento e per quanto riguarda Ovp fino al 96,4.
Guardando ai dati disaggregati per area di policy è invece possibile trovare delle differenze? “I dati scomposti per aree di policy mostrano una sostanziale equivalenza con il dato medio totale, benché rilevino alcune differenze che confermano un diverso orientamento di fondo su alcune issues da parte dei due partiti”, scrive il Cattaneo. E’ soprattutto sull’area delle libertà civili e della giustizia che Fidesz si discosta dalle posizioni del Ppe (tasso di fedeltà dell’86,6 per cento, mentre quello del partito di Kurz è al 96,7). E per quanto riguarda il tema della gestione dell’immigrazione? Ovp conferma la totale aderenza alle indicazioni del gruppo anche in materia di immigrazione, scostandosi solo nel 2 per cento delle occasioni dalla posizione del gruppo. “Fidesz invece ha sviluppato una maggiore autonomia sul tema: benché non abbia sistematicamente disatteso la disciplina di gruppo è sul tema immigrazione che troviamo l’espressione più rilevante di una differenza con il Ppe. Sebbene una lealtà al gruppo dell’80 per cento sia un dato estremamente elevato, il 20 per cento di occasioni in cui Fidesz si è dissociato dal Ppe segnala come l’immigrazione sia stata anche nel Pe la tematica di maggior frizione con il gruppo”.
Dal punto di vista qualitativo, la divergenza è avvenuta su questioni non esattamente secondarie, come le politiche di integrazione dei rifugiati e richiedenti asilo, la protezione dei minorenni immigrati, la concessione di visti a scopo umanitario o la ricollocazione dei migranti tra gli Stati membri. Sul tema Orbàn si è trovato più volte in sintonia con la Lega di Matteo Salvini (con una convergenza su voti inerenti il tema immigrazione del 26 per cento). Alla fine dei conti, però, anche Orbàn è stato molto fedele alla posizioni politiche indicate dal Ppe. Laddove si dimostra che qualsiasi leader euroscettico pur di non sparire e restare in un grande gruppo come il Ppe (e quindi mantenere incarichi parlamentari che conferiscono visibilità e potere) è costretto a fare i conti con il principio di realtà. C’è però anche un’altra ipotesi, e cioè che che i vari Orbán restino nel Ppe per cercare di spostarlo su posizioni più di destra. Il voto di maggio e le future mosse di Salvini dopo le Europee ci aiuteranno a capire che cosa diventerà il Ppe nella prossima legislatura.
Dalle piazze ai palazzi
Gli attacchi di Amsterdam trascinano i Paesi Bassi alla crisi di governo
Nella soffitta di Anne Frank