In Sudan la piazza chiede una prova della volontà di dialogo dei militari
Un milione di persone in presidio permanente per la piena “sovranità” del popolo: questa è la risposta delle Forze della libertà e del cambiamento del Sudan al Consiglio transitorio militare
Un milione di persone in presidio permanente per la piena “sovranità” del popolo: questa è la risposta delle Forze della libertà e del cambiamento del Sudan al Consiglio transitorio militare (Ctm) a poco più di tre settimane dall’insediamento del presidente ad interim Abdel-Fattah al Burhan, che aveva promesso l’avvio dei colloqui per una transizione verso un governo civile. Impegno mantenuto ma non nella direzione auspicata dall’opposizione, come testimonia il malcontento dell’Associazione dei professionisti sudanesi che ha animato le proteste da cui era scaturito l’intervento dell’esercito che ha deposto il presidente Omar Hassan al Bashir, al potere da 30 anni. Il Consiglio militare, composto da Burhan e altri otto generali più il vice presidente Mohamed Hamdan Daqlu, aveva assicurato di essere pronto a lasciare “presto” i poteri esecutivi a “chiunque fosse stato indicato dal popolo”. Il portavoce del Ctm, Shams el Din Kabbashi, a inizio settimana aveva aggiunto che i militari avanzavano “solo” l’opzione di mantenere “l’autorità sovrana”. Il capo dell’esecutivo, il governo e le facoltà esecutive sarebbero stati civili. Già dal giorno del suo insediamento, il 12 aprile, Burhan aveva garantito che l’obiettivo del Consiglio era quello di favorire “un ambiente politico pieno di armonia per interrompere il ciclo di violenze e di tensioni nel paese”.
Con l’avvio dei colloqui con i rappresentanti delle forze politiche e sociali, ma anche dei ribelli che si contrapponevano con la lotta armata al precedente governo, in particolare nel Darfur, si stava tentando di definire compiti e poteri delle autorità governative e di stabilire i termini e i requisiti per la selezione del candidato alla guida del nuovo governo, per poi scegliere il primo ministro, il governo e l’organismo legislativo di transizione. Ma la coalizione che racchiude i partiti dell’opposizione e i rappresentanti dei professionisti sudanesi ha espresso delle riserve per la presenza di alcuni generali islamici nel Consiglio militare, accusandoli di voler includere nel nuovo governo le forze islamiste di chi era espressione Bashir. Le trattative si sono così concluse senza un accordo per la differenza di vedute sulla composizione del nuovo esecutivo, di cui i civili vogliono la maggioranza. Alle Forze della libertà e del cambiamento non piace il ruolo di “Consiglio di stato sovrano” che i militari si vorrebbero autoassegnare e soprattutto la minaccia da parte dell’esercito di sgomberare il presidio fuori dal quartier generale dell’esercito per porre fine ai disordini causati dai manifestanti nel centro della capitale. L’opposizione ha anche annunciato la formazione di un’Autorità nazionale di transizione i cui membri saranno resi noti nei prossimi giorni imponendo un brusco stop al confronto e manifestando l’intenzione di proseguire il sit-in e di intensificare le proteste nelle strade. “Non accetteremo alcuna continuità con la guardia totalitaria del passato né negozieremo con un organismo di controllo che sta dimostrando di non essere diverso dal vecchio regime”, ha dichiarato il portavoce dell’Associazione dei professionisti sudanesi, Mohamed al Amin Abdel-Aziz.
Sembrerebbe finito, dunque, l’apparente idillio con il generale “amico del popolo”, come era stato soprannominato Burhan, considerato più “pulito” rispetto al suo predecessore, l’ex ministro della Difesa Ahmed Awad Ibn Auf, che aveva annunciato le sue dimissioni a poco più di 24 ore dalla sua designazione dopo la caduta di Bashir. Legato agli islamisti, Auf era stato il collegamento fra il passato governo e le milizie jajaweed, i “diavoli a cavallo” responsabili delle atrocità perpetrate in Darfur, regione occidentale sudanese straziata da un conflitto iniziato nel 2003 che ha causato oltre 300 mila vittime e 2 milioni e mezzo di sfollati. Burhan era invece apparso aperto al dialogo, incontrando prima ancora del colpo di stato i manifestanti per cercare di indurli ad abbandonare l’oceanico sit-in che da una settimana assediava il quartier generale delle forze armate scongiurando le violenze. Dopo il suo insediamento aveva poi sospeso il coprifuoco imposto dai golpisti, peraltro ignorato dal raduno, dimostrando un’importante apertura verso la gente determinata a rimanere in piazza fino alla creazione di un governo democratico. L’Associazione dei professionisti sudanesi anche per questo aveva accettato di sedersi al tavolo del negoziato per favorire l’istituzione di un esecutivo di transizione in risposta alle rivendicazioni della rivoluzione. Fino allo stop dei colloqui che è destinato a tramutarsi in una possibile nuova rivolta, elemento che preoccupa molto l’Unione africana che ha dato 60 giorni ai militari per cedere il potere.