L'anno degli anniversari in Cina e la memoria selettiva che non va assecondata
Il 4 maggio del 1919 con la questione della penisola dello Shandong nasce il nazionalismo
Roma. Cento anni fa, a Pechino, tremila studenti diedero il via a una delle proteste che più cambiò la forma della società cinese. Il Movimento del 4 maggio era nato contro quella che gli studenti consideravano una “sottomissione” della Cina all’occidente, subito dopo il trattato di Versailles, con la questione della penisola dello Shandong – che era stata prima sotto l’influenza tedesca e poi, dopo la fine della Prima guerra mondiale, lasciata al controllo giapponese. Quelle proteste avevano a che fare con l’indipendenza cinese, con il diritto all’autodeterminazione, ma anche con il desiderio di progresso e sviluppo, di cultura ed emancipazione.
Gli eventi di cent’anni fa sono considerati l’atto di nascita del nazionalismo cinese, e “il Partito comunista fonda le sue radici nel Movimento del 4 maggio”, ha scritto la docente di Storia moderna cinese Denise Y. Ho su Project Syndicate. “Le pubblicazioni studentesche diffondevano idee marxiste, e il gruppo di studio marxista fondato all’Università di Pechino è quello in cui Mao Zedong ha studiato il marxismo-leninismo”. Anche oggi, nella nuova Cina di Xi Jinping, il 4 maggio è una giornata celebrativa, ma vista attraverso la “memoria selettiva” del governo di Pechino: in un discorso pronunciato all’inizio della settimana per i cento anni dall’inizio delle proteste, “Xi ha esaltato l’immagine patriottica del 4 maggio, ignorando però i temi contro l’autoritarismo”, hanno scritto Chris Buckley e Amy Qin sul New York Times: “Il 4 maggio è uno dei tanti anniversari che quest’anno il Partito deve gestire con cautela – o cercare di ignorare. E c’è una ragione: l’anniversario del Movimento ha provocato proteste in passato”, e la più importante è quella a piazza Tiananmen del 1989 “che i soldati hanno silenziato in una carneficina, la notte tra il 3 e il 4 giugno”.
La storia, come accade soprattutto nelle questioni asiatiche, è fondamentale per capire il presente, ma il pericolo per Pechino è che la storia possa portare alla riflessione: “I giovani cinesi nella nuova èra devono obbedire al Partito e seguire il Partito”, ha detto Xi. La memoria selettiva – censurata alla bisogna – serve a veicolare un solo messaggio, che è quello della dottrina politica incarnata dal leader, o meglio, “il socialismo della nuova èra con caratteristiche cinesi”. Comprendere la potenza di questo messaggio è necessario per avere un’idea di come trattare politicamente con la Cina contemporanea e interpretare progetti e segnali: la Nuova Via della Seta, per esempio, quella a cui l’Italia ha aderito, risponde a certe regole.
In un’analisi pubblicata sul Washington Post due giorni fa, Adam Taylor dice che la nuova strategia che si sta imponendo alla Casa Bianca è narrare lo scontro tra America e Cina riferendosi allo scontro delle civiltà di Samuel Huntington. È un pregiudizio storico, etnico, lontano da diplomazia e politica che non tiene in considerazione la necessaria separazione tra la Cina e il Partito che la governa. Un esempio di questi inciampi riguarda la “guerra dei visti”: il sospetto di spionaggio riguarda chiunque, non soltanto gli accademici cinesi, ma fermare gli scambi d’idee è molto più pericoloso dei segreti che possono carpire i docenti universitari in America. “I paesi occidentali hanno di fronte sfide strategiche e morali quando si tratta di Cina”, ha detto al Diplomat Chongyi Feng, celebre accademico ed ex editore. “La Cina dovrebbe essere incoraggiata ad abbracciare sia l’economia sia la civilizzazione politica, ad agire responsabilmente. Il regime comunista cinese non può diventare il quartier generale dell’autoritarismo mondiale”.