Michele Geraci. Foto LaPresse

Il sottosegretario italiano che gira l'Europa per promuovere la Cina

Giulia Pompili

Germania, Olanda, Ungheria. Michele Geraci dovrebbe occuparsi del commercio estero di Roma, ma parla solo di Pechino

Roma. Ieri il sottosegretario del ministero dello Sviluppo economico con le deleghe al Commercio estero, Michele Geraci, era in missione in Germania. A Berlino ha avuto a un incontro definito “molto proficuo” con il viceministro del Commercio tedesco Claudia Dörr-Voß. Secondo Geraci infatti la Germania sarebbe interessata “a partecipare al progetto startup e a dialogare stabilmente con noi sulla Cina”. Ripetiamo: non a dialogare sul business tra Italia e Germania, ma tra Germania e Cina. La domanda, allora, è cosa ci faccia un membro del governo italiano con una delega particolarmente delicata in un paese dell’Ue a parlare di un progetto strategico di Pechino. E la risposta è nell’agenda Geraci.

  

Il 24 aprile scorso il leader della Lega, Matteo Salvini, lo stesso che un mese prima aveva evitato accuratamente ogni evento con il presidente cinese Xi, ha richiesto un incontro con il premier giapponese Shinzo Abe, di passaggio a Roma. Nell’elenco dei partecipanti al caffè mattutino presso l’hotel che ospitava la delegazione giapponese c’erano i nomi di Salvini e di Michele Geraci. All’ultimo momento, però, è stato sostituito da Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Eppure Geraci, per il ruolo che ricopre, sarebbe stato perfetto per un colloquio con il capo dello stato di un paese con cui, da tre mesi, è in vigore un colossale accordo di libero scambio. Ma niente. E il motivo è che se ci fosse stato Geraci, dicono fonti del governo, “si sarebbe di sicuro parlato di Cina”, creando non pochi imbarazzi. Già prima della firma dell’intesa sulla Via della Seta Geraci si occupava quasi esclusivamente di Cina, ma dopo, e cioè nell’ultimo mese e mezzo, la sua attività si è intensificata. Forse anche perché si vocifera, in ambienti leghisti, che il sottosegretario, un tempo idolo sovranista di Salvini, sia tra i possibili scaricati. Subito dopo la visita del presidente Xi in Italia, Geraci è volato di nuovo in Cina, al Boao Forum, per dare “concretezza al memorandum”: basta seguire la sua timeline di Twitter, molto più aggiornata del sito internet del Mise, per capire quanta attività frenetica. Tornato in Italia, Geraci va al Vinitaly, ma il pensiero è sempre a Pechino: “Da dove importa il vino la Cina?”. Poi, tra la presentazione del libro “Oltre la Grande Muraglia” di Alberto Bradanini e il convegno allo Iai sui rapporti Eu-Cina, Geraci parla al convegno organizzato dal dipartimento del Tesoro con la Banca asiatica per gli Investimenti in infrastrutture (l’Aiib a guida cinese), ospitato al Mef. Nell’ultimo mese e mezzo non c’è un evento in Italia che coinvolga la Cina in cui il sottosegretario Geraci non sia presente. Tutti credevano che avrebbe partecipato anche alla missione del presidente del Consiglio Giuseppe Conte al secondo Forum sulla Via della Seta, ma il sottosegretario si è concentrato su altro, o meglio, su quello, ma altrove.

  

  

  

Mentre Conte era a Pechino, un paio di settimane fa, Geraci è volato in Ungheria, uno dei paesi in cui la Cina ha più interessi nell’est Europa, che ha firmato l’intesa sulla Via della Seta nel 2015 e fa parte del 16+1, l’iniziativa di Pechino nell’est Europa. Da qui Geraci scrive: “Incontro con il brillante viceministro degli Esteri ungherese Magyar, con cui abbiamo discusso di export, infrastrutture energetiche e dei trasporti, e della possibile cooperazione triangolare con la Slovenia facendo perno su Trieste”. Trieste, naturalmente, è una delle città chiave del passaggio della Via della Seta marittima cinese. Dopo l’Ungheria Geraci vola in Repubblica Ceca, un altro paese del 16+1. Trova il tempo di commentare su Facebook il discorso di Xi al Forum, e dice che il presidentissimo deve essersi ispirato a lui: “Ha espresso tre concetti in linea con quel che dico da mesi: 1) l’Italia ha preso la leadership tra i paesi europei nell’approccio alla Cina; 2) il contenuto dell’MoU su Belt & Road firmato dall’Italia è un modello per altri paesi occidentali; 3) sulla firma del MoU BRI, altri paesi seguiranno l’Italia, come avevo ben previsto il mese scorso a Boao prima che firmassero Lussemburgo e Svizzera”. E non c’è spazio per altro, nella comunicazione pubblica del sottosegretario Geraci, sia via social sia nelle interviste: si parla quasi sempre e solo di Cina. Il 3 maggio vola a Udine al Far East Film Festival, un noto festival cinematografico asiatico, e anche qui partecipa a un convegno sulla Via della Seta. Poi pubblica una fotografia dell’attrice cinese Yao Chen, la madrina del Festival, e dice che siccome lei è un’influencer, allora Udine adesso è famosa in Cina, e quindi “tocca alle aziende, col nostro supporto di sempre” (supporto che, si presume, arriva solo se vogliono investire in Cina). Il 6 maggio Geraci presiede al Mise a un tavolo con rappresentanti dell’Uzbekistan e scrive su Facebook: “E’ importante ricordare che Asia centrale è strategica perché la #ViaDellaSeta passa da là. #ZeroFuffa”. Quindi il ministero ha riaperto un dialogo business con l’Uzbekistan non per interesse nazionale, ma perché ci passa la Via della Seta cinese. Lo stesso concetto, che suona davvero strano se espresso da un membro del governo italiano, lo ripete in varie interviste. E ci torna l’8 maggio, quando arriva in Olanda e incontra il ministro del Commercio olandese Sigrid Kaag per parlare indovinate di cosa? Di Via della Seta. Qui Geraci si spinge fino al “fantastico porto” di Rotterdam, che è il termine della Via della Seta marittima immaginata dai cinesi, e infatti poi il sottosegretario pubblica vari video entusiastici, e in uno in particolare snocciola “alcuni interessanti numeri della presenza cinese a Rotterdam”. Uno spot notevole, con tanto di immagini. “I container arrivano pieni e ritornano un po’ meno pieni, ed è questo l’obiettivo dell’MoU che abbiamo firmato con la Cina”, dice Geraci. Purtroppo non possiamo sapere quanto sia costato al sottosegretario il “tour di promozione” della Via della Seta in Europa, sempre accompagnato esclusivamente dal fedele consigliere Sergio Maffettone, perché sul sito del Mise i dati su “rimborsi per trasferte e missioni di servizio” sono fermi a dicembre.

   

  

   

E’ trascorso un mese e mezzo dalla firma del memorandum d’intesa sulla Via della Seta, il documento con il quale l’Italia ha aderito al mastodontico progetto d’influenza strategica di Pechino. Un’intesa politica, che il governo gialloverde ha promosso come una partnership puramente commerciale. E’ presto per quantificare il cambiamento sugli scambi commerciali tra Italia e Cina, ma attualmente siamo ancora fermi a 2,5 miliardi di euro, cioè il valore complessivo dei 29 accordi commerciali e istituzionali siglati durante la visita del presidente cinese Xi Jinping a Roma. Nonostante le rassicurazioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e soprattutto del principale sostenitore istituzionale dell’adesione dell’Italia come primo paese del G7 alla Via della Seta, cioè il vicepremier e ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio, quella firma continua ad avere le sue conseguenze: poche dal lato del business, molte da quello diplomatico. E questo nonostante tutti, al governo, abbiano tentato di minimizzare dopo la firma. Ma anche se l’allarme sul “pericolo geopolitico” – espressione usata a volte perfino a sproposito – è stato faticosamente silenziato, c’è una parte del governo Salvini-Di Maio che continua a lavorare per promuovere il progetto di una potenza straniera, per conto terzi insomma, mettendo in imbarazzo chi sta cercando di riappropriarsi di una credibilità non solo in Europa, ma anche con gli alleati tradizionali e all’interno del G7. Il 24 aprile il premier Conte durante la conferenza stampa con Abe ha salutato il primo ministro e poi, subito dopo, ha ricordato alla platea che il giorno dopo sarebbe partito per Pechino. Parlare di Cina, non richiesto, all’apertura di un discorso così istituzionale, accanto al leader di un paese partner del G7, è un inciampo diplomatico “frutto di superficialità, ignoranza e che la dice lunga sull’affidabilità del leader del nostro governo”, commenta un diplomatico di lungo corso.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.