Caos controllato e unità nazionale. Cosa possiamo imparare dalle elezioni thailandesi

Massimo Morello

Tutto quello che dovete sapere sulla prova elettorale della seconda economia del sud est asiatico

“Un pandemonio caotico”. A oltre un mese dalle elezioni thailandesi, così definisce la situazione Paul Chambers, che studia le relazioni civili-militari e l’alternanza tra dittatura e democrazia in Sud-est Asiatico. “Anziché una rappresentazione di un ‘teatro del potere’, l’elezione si è trasformata in un ‘teatro del caos’” scrive Kasian Tejapira, professore di scienze politiche ed ex attivista della guerriglia comunista nel nord-est del paese.

 

Le elezioni thai appaiono come una prova sociopolitica del teorema d’incompletezza di Gödel, secondo cui un sistema deve avere almeno una affermazione sulla cui correttezza il sistema stesso non può decidere. “Quello che voleva essere uno spettacolo elettorale con un vincitore predestinato, involontariamente ha reso visibile la frammentazione delle élite politiche” afferma Tejapira.

 

Lo dimostrano le confusioni e i misteri sui risultati delle elezioni comunicati l’8 maggio dalla Commissione Elettorale secondo formule che appaiono chiare solo a chi le ha elaborate allo scopo di assicurare la continuità del potere. Nonostante ciò, i risultati definitivi appaiono più o meno uguali a quelli rilevati subito dopo le elezioni. Con qualche più a favore del regime del regime instaurato in Thailandia con il colpo di stato del 2014, grazie ai micropartiti (alcuni con meno di 34mila voti complessivi) che in virtù di qualche oscuro calcolo hanno ottenuto un seggio e che, presumibilmente, dovrebbero affiancare una larga coalizione guidata dagli ex militari. Coalizione, tuttavia, che appare incerta e dipende dalla decisione di Anutin Charnvirakul eccentrico leader di un partito cha ha basato la campagna elettorale sulla legalizzazione della marijuana. Ulteriore elemento d’incertezza riguarda la sorte del Future Forward, il partito del giovane miliardario Thanathorn Juangroongruangkit, che ha ottenuto uno straordinario risultato elettorale ma rischia lo scioglimento per le accuse di “minaccia alla monarchia”. Se ciò accadesse si rischierebbe davvero la degenerazione del caos. Il che, secondo alcuni osservatori, sarebbe negli auspici del generale Apirat Kongsompong, comandante delle forze armate, esponente di una nuova generazione di militari.

 

Lo scenario più probabile è quello di un caos controllato, come da tradizione asiatica. Le grandi famiglie che controllano l’economia thailandese (e che hanno visto decrescere le loro fortune per le incertezze politiche) sostengono l’idea di una “democrazia controllata”, ossia di un governo conservatore che però prenda le distanze dai militari. Idea che sembra sostenuta anche da sua maestà Maha Vajiralongkorn: appena incoronato, certo non vuole vedere l’inizio del suo regno segnato da disordini e divisioni e sembra favorevole a un governo di “unità nazionale”.

 

Nelle prossime settimane la situazione dovrebbe definirsi con l’elezione del primo ministro, che potrebbe essere lo stesso generale Prayuth Chan-ocha, leader della ex giunta militare, o un tecnocrate economista come Amporn Kittiamporn. Il 20 giugno si apre a Bangkok il summit dell’Asean di cui di cui quest’anno la Thailandia ha la presidenza. Quale sarà il nuovo governo della seconda economia delle nazioni del sud-est asiatico può davvero segnare un momento decisivo nello scenario di un’area in cui le democrazie stentano a consolidarsi, minacciate da tensioni etniche, estremismi islamici, tentazioni autoritarie e populismi. Con conseguenze ancor più profonde nella geopolitica della regione Indo-Pacifico, intersecata dalle nuove vie della seta.

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