La guerra di Trump contro Huawei. Come sono le squadre in campo
Faccenda epocale. I cinesi sono più avanti di tutti nella tecnologia che ci farà andare cento volte più veloci di adesso. E se ci spiano? Washington non si fida e vuole bloccare tutto. La mossa di Macron
Roma. Facciamo costruire ai cinesi di Huawei le nuove reti di telecomunicazioni di quinta generazione (5G) nei nostri paesi? Ci possiamo fidare di loro? Oppure fra qualche anno scopriremo che Huawei passa i dati al governo cinese e quindi gli regala un vantaggio incredibile nel confronto contro l’occidente? Quando si parla di tecnologia 5G si indica la capacità di trasmettere dati via internet wireless con una velocità fino a cento volte superiore rispetto a oggi e quindi la capacità di rivoluzionare molti settori (se puoi inviare così tanti dati in modalità wireless a una velocità molto più alta, puoi fare cose che prima non riuscivi a fare) e Huawei in questo campo è in vantaggio sugli altri, ma è cinese. Questa è la premessa di uno scontro che è cominciato due anni fa e durerà ancora per molto. Ora vediamo come sono disposte le squadre in campo.
Il leader di quelli che non si fidano è il presidente americano Donald Trump. È così deciso a bloccare Huawei che mercoledì ha minacciato di inserire l’azienda cinese nella lista nera dei compratori che non possono acquistare tecnologia dalle aziende americane. Se questa minaccia da parte di Trump diventerà effettiva sarà un guaio anche per l’economia americana, perché Huawei spende circa undici miliardi di dollari l’anno in componenti prodotte in America e ci sono 33 aziende americane fra i suoi primi 92 fornitori (dati Bloomberg). Di solito Trump cede volentieri alle ragioni del business se c’è un vantaggio per l’economia di casa – vedi gli affari spregiudicati con i sauditi – ma in questo caso pensa che sia più importante proteggere la sicurezza nazionale e fermare l’ascesa della Cina anche a rischio di rallentare quasi del tutto il passaggio alla tecnologia 5G. Colpire Huawei è la sua “opzione nucleare” per colpire la Cina, come l’ha definita Bloomberg, e due giorni fa ha cominciato. In realtà non si capisce se il presidente americano è più preoccupato dalla guerra commerciale con la Cina oggi oppure dalla minaccia potenziale alla sicurezza nazionale domani, ma in pratica le sue decisioni molto dure contro Huawei servono a entrambi gli scopi.
Con Trump il nucleo duro degli opposizione è formato dalle intelligence dei cinque paesi del cosiddetto Five Eyes, che è l’alleanza dei paesi con il sistema di intercettazione delle comunicazioni più vasto al mondo – America, Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda. Il 24 aprile una fonte di alto livello americana ha detto a Reuters che i paesi del Five Eyes non useranno reti fatte da Huawei. L’unica eccezione è il Regno Unito, che da quindici anni ha relazioni con l’azienda cinese e potrebbe consentire a Huawei di costruire “parti non importanti”, ma anche in questo caso c’è chi si batte contro. Il think tank inglese Henry Jackson Society ha appena pubblicato un rapporto di ottanta pagine su Huawei e la sicurezza nazionale con un’introduzione di Richard Dearlove, capo dell’intelligence inglese fra il 1996 e il 2004. Dearlove dice che nella Cina comunista anche le aziende sono un’emanazione del Partito e quindi è necessario considerare Huawei come un braccio del governo cinese. Inoltre si augura che il governo inglese, lo stesso che sta uscendo dall’Unione europea, non si faccia troppi problemi ad annullare gli accordi già presi con i cinesi. In Nuova Zelanda l’intelligence ha fermato l’anno scorso un appalto con Huawei, ma il governo non esclude che in futuro ci potrebbe essere un accordo per la rete 5G con i cinesi. L’Australia è sulla stessa posizione intransigente dell’America perché nel 2018 l’ex primo ministro Malcolm Turnbull vietò alle aziende nazionali di entrare in affari con Huawei e oggi avverte gli inglesi, fate come noi. Il Canada non ha ancora detto cosa farà, ma come vedremo è impegnato in uno scontro molto duro con la Cina proprio per la questione Huawei.
In mezzo ci sono gli europei, che hanno una posizione molto più conciliante, vorrebbero la tecnologia 5G il prima possibile e sono sicuri di poter sconfiggere qualsiasi rischio per la sicurezza nazionale. Il presidente francese Emmanuel Macron ieri ha detto che “la Francia e l’Europa sono pragmatiche e realistiche. Crediamo nella cooperazione e nel multilateralismo”. La Germania è allineata alla Francia. Secondo le raccomandazioni dell’Unione europea, i paesi membri hanno tempo fino alla fine di giugno per studiare queste reti e poi a ottobre si comincerà a parlare di sicurezza (quindi: di come non farsi fregare tutti assieme dalla Cina).
Huawei dice di essere indipendente dal governo cinese, ma nel rapporto inglese menzionato prima c’è scritto che ha preso in prestito somme ingenti dalla banche di stato cinesi per allargarsi all’estero e operare “in linea con gli obiettivi della politica cinese”. È anche grazie a questa linea di credito di 88 miliardi di euro che è così in vantaggio sulle aziende occidentali. Inoltre, la dottrina militare cinese preme per la collaborazione sempre più stretta con le aziende civili e c’è una legge del 2017 che concede all’intelligence cinese il potere di obbligare Huawei o altre aziende a cooperare in Cina e all’estero. Infine, nota il rapporto, la struttura di Huawei non è quella di un’azienda privata come la intendiamo noi in occidente: lo stato ha un certo potere di controllo.
Tanto per ricordare le differenze nel modo di fare affari e di vedere il mondo fra l’occidente e Pechino, ieri la Cina ha annunciato l’arresto formale dei due prigionieri canadesi Michael Spavor e Michael Kovrig che erano stati fermati dalla polizia cinese a dicembre subito dopo l’arresto in Canada di Meng Wanzhou, figlia del capo di Huawei e dirigente di Huawei accusata di crimini finanziari. Spavor e Kovrig sono tenuti in celle in cui la luce non è mai spenta, mentre Whanzhou è agli arresti domiciliari a Vancouver nella sua casa da sei camere da letto e affaccio su un parco – del valore di cinque milioni di dollari. A inizio maggio i giudici canadesi hanno approvato la sua richiesta di spostarsi in una sua casa tre volte più grande, che nel frattempo era in ristrutturazione, del valore di 13 milioni di dollari.