Perché la May non molla invece che farsi cacciare?
Qualche indizio dal sapore indicibile di ragionevolezza
Milano. L’assedio a Downing Street vissuto minuto per minuto – con voci, smentite, dimissioni, ambizioni, ingordigie, pettegolezzi e cattiverie – è l’ultima battaglia di Theresa May, premier inglese diventata esperta nel mestiere di salvarsi. Cosa aspetta, di uscire con un calcio nel sedere dalla porta che fissiamo attoniti da mesi?, chiedono ormai tutti, chi col ghigno, chi con lo spavento, chi con il disagio che si prova di fronte a tale indefessa caparbietà. Non si sa cosa aspetti, la May, ma intanto fissa delle date, un’altra attività in cui ha una certa dimestichezza: domani l’incontro con i conservatori golpisti, entro il 7 giugno la presentazione della proposta di legge per l’approvazione della Brexit, il 10 giugno la scadenza fissata dai golpisti come termine ultimo della sua dipartita, in mezzo, dal 3 al 5 giugno, l’accoglienza a Donald Trump, che da buon amico di cui non ci si deve mai fidare ha detto che dell’incontro con la May è “ignaro”, gli interessa soltanto la Regina. Attorno, il governo è al suo ennesimo rimpasto – dopo le dimissioni della ministra-rivale Andrea Leadsom – e gli inglesi sono andati a votare per le europee, con un mucchio di problemi tecnici: molti elettori respinti perché la documentazione non era corretta.
Erano le elezioni che non si dovevano fare, queste, non potevano che essere improvvisate e devastanti per i Tory al governo prima di tutto, che nel desiderio furioso di cacciare la May hanno perso di vista l’essenziale, che è la loro stessa sopravvivenza. La risposta alla domanda che tutti fanno sulla May – cosa le dice il cervello? – probabilmente sta tutta qui, nella necessità di una strategia per la sopravvivenza della sua famiglia politica. La May è insalvabile ma è anche il capro espiatorio perfetto per un partito di governo che ha dato pessima prova politica di sé e che ha la presunzione sciagurata di potersela cavare togliendo di mezzo la premier del disamore e dell’incompletezza e sostituirla con un fantasioso decisionismo. Resistendo all’assedio, la May propone una via d’uscita alla sua famiglia conservatrice: cerchiamo di votare un accordo, facciamo la Brexit del meno peggio, e poi per tutto quel che accadrà dopo potrete sempre dire che la colpa è stata mia. Sembra un’offerta ragionevole, per quanto disperata e tardiva, ma i Tory furiosi continuano a non considerarla, consegnando il proprio elettorato al partito di Nigel Farage e se stessi all’irrilevanza. Se fosse soltanto una questione di bottega, ci godremmo – chi ha lo stomaco forte – lo spettacolo cannibale, ma c’è di mezzo un paese, un continente, una prospettiva comune. Nell’assedio di Downing Street ci siamo dentro un po’ tutti, ma quando finirà non è detto che sarà un sollievo.