Ma quale disamore, quale apatia: l'Europa è sexy per davvero
Un’affluenza record e le elezioni consegnano una grande maggioranza europeista. Le novità, le classifiche di due commentatori e certi lividi neri
Non si vedeva un’affluenza così a un’elezione europea da decenni, anzi alcuni paesi non l’avevano proprio mai vista, e invece eccola, la prova d’amore, più di duecento milioni di persone sono andate a votare per dire che vogliono l’Europa, altroché se la vogliono, e la vogliono far diventare più bella, riformarla, colorarla di verde o renderla più liberale. L’affluenza non è una forza univoca, in alcuni paesi ha premiato partiti non esattamente europeisti – vedi la Polonia che ha quasi raddoppiato gli elettori e ha dato una vittoria schiacciante al PiS al governo – ma la mobilitazione significa passione e interesse e di questo almeno possiamo essere oggi più sicuri: l’Europa non morirà di apatia. Anzi, nel momento in cui pensava di ritrovarsi in macerie a causa dell’onda nazionalista, l’Europa si ritrova in piedi, con qualche livido doloroso (avrete visto le mappe e colori dell’Europa, con quel nero che sale dall’Italia, passa per la Francia e raggiunge il Regno Unito), ma con una larga maggioranza di elettori europeisti. “L’avanzata dei cosiddetti partiti di estrema destra – ci dice Anne Applebaum, scrittrice e giornalista, che dovendo fare la classifica delle cose belle avvenute nella notte elettorale mette al primo posto l’affluenza – ha anche ispirato un contraccolpo: i guadagni più consistenti sono stati ottenuti dai liberali europeisti e dai Verdi”. Il prossimo Europarlamento non sarà più il monopolio dei popolari e dei socialisti (che hanno perso molti seggi e probabilmente la possibilità di nominare alla guida della Commissione uno Spitzenkandidat) e avrà bisogno dei liberali – l’Alde che è il gruppo che più di tutti gli altri ha aggiunto seggi – ai quali si uniranno forse anche i Verdi (+18) che sono riusciti ad ampliare i loro consensi in alcuni grandi paesi, Germania e Francia soprattutto. “Il centro europeista regge, più o meno. L’ossessione populista vacilla, più o meno”, ci dice Steve Erlanger, veterano del New York Times (è stato corrispondente da tutte le parti del mondo, ora è a Bruxelles), che prevede un Parlamento “più frammentato e più caotico” ma senza quella “rivoluzione” sovranista di cui tutti andavano parlando (si è cominciato anche a modificare il linguaggio: “populismo” è in calo, anche perché il suo lato sinistro si è molto ridotto, e restando il lato destro conviene chiamarlo con termini appropriati, primo fra tutti “estrema destra”). Anzi, i nazionalisti nel loro complesso sono più o meno uguali al 2014, con una grande eccezione che è la Lega di Matteo Salvini, e in alcuni paesi hanno preso di meno rispetto a cinque anni fa: è il caso di Marine Le Pen in Francia che pure ha superato di un soffio il partito del presidente, Emmanuel Macron, ed è anche il caso dell’AfD tedesca, il cui consenso è stagnante, ma si è concentrato – polarizzato – in alcune aree, come il Brandeburgo, la Sassonia e la Turingia. Il Brexit Party di Nigel Farage è un altro grande vincitore del nazionalismo – per Erlanger questa vittoria è una delle cose più importanti accadute con le elezioni, “ha cambiato del tutto la politica britannica” – ma stiamo iniziando a parlare del Regno Unito come un caso a sé: c’è il predominio della Brexit lì, e altrove di exit invece non parla più nessuno.
Non ci sono soltanto sfumature rosa nel futuro dell’Unione europea, e anche se la prova d’amore è stata chiara, non sono mancate le delusioni. “La differenza tra est e ovest si sente tantissimo”, dice Erlanger, infatti i ponti tra le due parti del continente sono sempre più pericolanti e la sfiducia arrivata lunedì a Sebastian Kurz, cancelliere austriaco che pure ha vinto le europee, non contribuirà a rafforzarli. “Polonia, Italia e Ungheria” sono le brutte notizie, conferma la Applebaum, a Budapest Viktor Orbán ha sfiorato il 55 per cento riprendendosi i voti di Jobbik, il partito che in questi anni aveva tentato di occupare lo spazio angusto ancora più a destra di Fidesz.
Orbán vive da sorvegliato speciale dentro al Ppe e non era tanto per i suoi due deputati in più (ne porterà 13 a Strasburgo) che voleva superare il 50 per cento, era per il suo paese: il mondo, come ha avuto modo di chiarire in un’intervista, lui lo guarda “soltanto attraverso gli occhi dell’Ungheria”, divorare l’Europa assieme agli altri sovranisti non è il suo mestiere principale. In Polonia il PiS di Jaroslaw Kaczynski ha vinto di nuovo – porterà 26 eurodeputati nel gruppo dei Conservatori e riformisti – e ha sconfitto l’alleanza nata per ridare forza europeista al paese, la Coalizione europea che era un’eccezione virtuosa, la dimostrazione che anche gli europeisti possono allearsi tra loro. Per Kaczynski hanno votato in massa le zone rurali, le città sono per la Coalizione europea, che ha vinto a ovest, mentre il PiS a est: Varsavia è l’unica roccaforte europeista dispersa nel mare di nazionalismo, “la mappa elettorale della Polonia sembra quella della Germania prima del 1989 – ha detto la Applebaum – con Varsavia come Berlino est”.
Nel gruppo di Visegrád ci sono dettagli, segnali, punti di luce e di ombra che insegnano che qualcosa sta cambiando, l’est ha bisogno di tempo, ma dovrà prendere una decisione, dovrà decidere se continuare a guardare con curiosità ai sovranisti euroscettici o se trovare il suo posto al fianco di chi in Europa prende le decisioni. In Slovacchia ad esempio, dove si è fatto sentire il vento della nuova presidente Zuzana Caputova, il partito di governo Smer, spesso vicino a Orbán, è stato battuto da una coalizione formata da Slovacchia progressista e Spolem, il primo andrà nell’Alde, il secondo nel Ppe. I cambiamenti iniziano dai dettagli e dalle novità, e in Ungheria al terzo posto si è piazzato Momentum, che è fresco, è europeista, qualche mese fa sembrava un’idea nebbiosa e troppo giovane per avere successo, invece entrerà in Parlamento e andrà nell’Alde. Anche in Romania la sorpresa è stata un’alleanza liberale che sembrava non dovesse nemmeno partecipare alle elezioni e invece ha conquistato il 20 per cento, grazie soprattutto ai giovani. A proposito: le generalizzazioni non funzionano mai, i giovani polacchi hanno votato un partito di estrema destra Konfederacja che non avevamo quasi calcolato, ma a ovest i loro coetanei si sono mostrati ben più progressisti e verdi di quanto si immaginasse. L’apatia è stata in passato troppo penalizzante, forse il progetto “make Europe cool again” è fattibile, e l’Europa, chissà, è sexy per davvero.