Lunga vita agli eurocrati, unici portatori sani dell'interesse europeo
Lo scrittore austriaco Robert Menasse va controcorrente, difende i più tartassati dai sovranisti e delinea l’Ue che verrà
Roma. Non è stato un voto europeo e in quella tavolozza c’è sicuramente un po’ troppo nero, soprattutto l’ombra che investe Francia e Italia, attesa ma pur sempre angosciante, non è di conforto, ma questi cinque anni serviranno a cambiare tutto, a crescere, a prendere delle decisioni all’interno dell’Unione europea. Per Robert Menasse (foto sotto) possiamo rimanere ancora ottimisti, tutto dipenderà dal nuovo Parlamento, dai futuri volti che popoleranno le istituzioni europee, talmente lontane e impalpabili che anche lui, filosofo e scrittore, per capirle ha deciso di trasferirsi a Bruxelles. Da lì ha scritto due libri, “La capitale” e “Un messaggero per l’Europa” (Sellerio), che sono un tuffo nei vizi, pochi, e nelle virtù, molte, dell’Unione europea, di chi lavora per lei, di chi ha finalmente capito che quando si entra in un palazzo brussellese arriva il momento di mettere da parte la proprio nazionalità e di ragionare in termini europei. Domenica, secondo lo scrittore austriaco, è successo tutto il contrario, la maggior parte dei voti sono stati una sublimazione delle battaglie nazionali e diversi elettori hanno votato pensando al proprio paese, “c’è una forte incomprensione delle politiche europee e della loro necessità, le elezioni europee non sono un test nazionale – dice al Foglio Menasse – ma servono a eleggere il futuro Europarlamento che farà delle leggi che non saranno valide per un singolo paese, ma per tutta l’Unione. E’ il primo parlamento sovranazionale nella storia del parlamentarismo, quando si vota bisogna tenerlo presente”. Questo ragionamento devono averlo fatto in pochi ovunque e anche in Austria dove è “stato chiarissimo che le persone hanno espresso un voto a favore di Sebastian Kurz”, che Menasse definisce un cinico. Gli austriaci volevano mandare un segnale che però il Parlamento di Vienna, sfiduciando il cancelliere con il voto di lunedì, non ha recepito.
Pensare europeo è difficile, presuppone uno sforzo che forse andrebbe insegnato, eppure “per lo stesso motivo per cui abbiamo un’identità locale, dovremmo capire che vale lo stesso anche per l’Europa”. Un’insieme di valori, di eventi che ci ha resi tutti simili, tutti europei senza che nemmeno ce ne rendessimo conto: “La Rivoluzione francese ad esempio è iniziata come evento a Parigi, eppure ha avuto degli effetti su tutto il continente, così l’Illuminismo. Un vortice di fattori che ha contribuito a costruire l’identità europea con la quale conviviamo e questa è la lezione che i bambini di tutta l’Ue dovrebbero imparare”. Menasse è di Vienna e Vienna non è tutta l’Austria, che di regione in regione ha le sue caratteristiche, “a unire me e un allevatore del sud Tirolo è molto più la storia europea che propriamente quella dell’Austria”.
Gli eurocrati, questi stacanovisti dell’europeismo, sono gli unici a servire l’Ue senza tenere conto degli interessi nazionali
Eppure c’è una categoria di individui che hanno capito come si fa a diventare europei, sono coloro che spesso vengono descritti come eurocrati, funzionari e burocrati al servizio delle istituzioni europee. A questi eroi dell’europeismo, sempre un po’ goffi, persi tra cravatte bizzarre, giacche troppo larghe di un marrone fuori moda e le scarpe consumate dalle pretesi eleganti, Menasse ha dedicato alcune pagine di “Un messaggero per l’Europa”, pagine che insegnano ad amare quegli stacanovisti dell’Unione: “Sono gli unici che non lavorano per il loro stato di origine, anzi, sono disposti a metterlo da parte e a contraddirlo e combattono per gli interessi europei”. Ma l’europeismo non è soltanto una questione culturale, non va soltanto insegnato. Ci sono accorgimenti e soprattutto riforme che secondo Menasse andrebbero fatte per far sentire tutti un po’ più europei, ci aspettano cinque anni cruciali per costruire la nostra identità europea, molto dipenderà da chi sarà il futuro presidente della Commissione, dalla sua statura politica e anche dalla maggioranza che si formerà dentro al Parlamento europeo, ma tutti gli sforzi devono andare in una direzione: verso l’integrazione politica. “Avremo un’Unione più stretta quando realizzeremo finalmente un’unione fiscale. Abbiamo una moneta comune e adesso abbiamo bisogno di una politica fiscale comune per garantire, ad esempio, che le multinazionali paghino le stesse tasse in tutti i paesi membri – dice il filosofo viennese – si va avanti a piccoli passi, ma l’importante è garantire l’uguaglianza delle opportunità per tutti i cittadini europei. Al momento questa uguaglianza non c’è, perché in ogni nazione abbiamo scuole diverse, tasse diverse, salari diversi; in queste condizioni è difficile sostenere che siamo tutti cittadini della stessa comunità”.
E’ nell’interesse della democrazia europea che la Commissione e il Parlamento rompano il potere del Consiglio
Finora si è andati avanti a tentativi, il futuro dell’Europa spesso fa paura, “è da sessant’anni che ripetiamo che lo sviluppo dell’Ue deve partire”, e invece rimane fermo. E non c’entra la burocrazia, non è colpa degli eurocrati, ma la sensazione è che si è sempre fermi al punto iniziale, immobili mentre cerchiamo di capire dove dobbiamo andare. E’ anche questione di coraggio, “manca l’enfasi”, dice Menasse, manca la voglia di futuro, ma in un modo o nell’altro queste decisioni porranno tutti davanti a un bivio: innovare per togliere ai nazionalisti il potere di riproporsi come gli unici riformatori, o rimanere sempre uguali e poco propositivi. Secondo lo scrittore negli ultimi quindici anni il Parlamento europeo ha avuto uno sviluppo interessante, gli sono stati conferiti più diritti decisionali. E il progetto europeista va costruito anche attraverso le relazioni tra i poteri delle istituzioni: “Sarà questa la questione centrale dei prossimi cinque anni”. I ruoli di Parlamento, Commissione e Consiglio devono essere delineati con chiarezza, perché anche in questo modo, dice l’autore, gli interessi dell’Europa tutta possono avere la meglio su quelli nazionali. “E’ nell’interesse della democrazia europea che la Commissione e il Parlamento rompano il potere del Consiglio, dove vengono rappresentati gli interessi dei paesi membri. Deve essere chiaro che il luogo in cui si prendono le decisioni è la sala blu di Strasburgo”.
Ieri i capi di stato e di governo erano a Bruxelles – non chiamatela capitale che qualcuno negli altri stati potrebbe avere da ridire, ci dice Menasse, che alla città belga ha dedicato il libro “La capitale”, “Per me lo è, ma sulla carta è solo la sede delle istituzioni” – al Consiglio informale convocato da Donald Tusk, volto energico e vitale del quinquennio europeo che sta per chiudersi. Da lì sono partiti i lavori per l’Europa, quella che dovrà prendere delle scelte, quella che dovrà avere il coraggio di cambiare, quella che dovrà assumersi il compito di renderci tutti un po’ più europei. E se qualcosa andrà storto non date la colpa agli eurocrati che, scrive Robert Menasse, “tra tutti i mostri, dal basilisco al conte Dracula fino a King Kong”, continueranno a popolare le fantasie di chi anche in questi cinque anni, urlerà contro Bruxelles.