Non è che ad abbattere la democrazia sarà la scemenza?
I dubbi di un intellettuale e un “attaccate il cervello” che sa di rivoluzione
Abbiamo sfogliato, letto o nei casi più virtuosi sottolineato molti saggi sulla tenuta della democrazia in questa stagione di smottamenti ideologici, politici e culturali: ci sono gli ottimisti solidi nella loro incrollabile fede illuminista, ci sono i declinisti che accettano rassegnati questa nuova epoca di democrazie sfregiate, ci sono i pessimisti che vedono in questa involuzione una conferma ineluttabile del loro catastrofismo. Poi è arrivato l’altro giorno Max Boot, intellettuale e storico conservatore nato in Unione sovietica e cresciuto nelle coste liberal d’America, con una domanda molto semplice: non è che sarà la scemenza a tirar giù le democrazie? Boot è in una fase di migrazione identitaria, è diventato repubblicano negli anni Ottanta quando “essere conservatore era cool” e ha raccontato in un libro sofferto come il trumpismo lo abbia reso un apolide politico, troppo liberale per passare con i democratici (ma nel 2016 ha votato per Hillary), troppo insofferente e critico per restare tra i repubblicani inginocchiati davanti al presidente Trump (era stato consigliere di politica estera di John McCain, il suo antitrumpismo è anche una questione personale).
Boot è uno degli incrollabili, si butta nelle risse ideologiche, vede e denuncia ogni storpiatura dell’America simbolo di libertà ed eccezionalismo, ma da ultimo ha cominciato ad avere qualche dubbio in più: le democrazie hanno antidoti naturali contro le derive autoritarie e contro l’esercizio capriccioso del potere, così come le società occidentali hanno dimostrato di saper superare molta irrazionalità umana – bruciavamo le streghe, per dire, e abbiamo smesso.
Ma quando a una società è richiesto di attaccare di più il cervello perché le minacce sono subdole e sottili, quando è richiesto di informarsi di più e non di meno, quando è richiesto di non trattare esperienza e competenza come nemici da abbattere e ci si ritrova, per dire, con la più grande epidemia di morbillo degli ultimi decenni, “la mia fiducia è messa a dura prova”, e il dubbio viene: non è che a tirar giù l’ordine liberale mondiale sarà la scemenza? Boot ripercorre teorie del complotto, credenze e terrapiattismi di varia natura (per nostra fortuna non legge l’italiano), dice che la rete e i social hanno un ruolo decisivo nella dittatura della disinformazione, ma sottolinea che l’amplificazione delle scemenze non deve essere assolutoria: siamo responsabili noi, tutti noi, indipendentemente dalle nostre convinzioni politiche, di questo dilagare di irrazionalità e stupidità.
“La democrazia resta la miglior forma di governo fosse soltanto perché le alternative sono peggiori”, dice Boot riprendendo l’adagio rassicurante che i democratici di tutto il globo ripetono come una preghiera, ma “questo revival di irrazionalità in un momento in cui tutti dovremmo davvero know better” è un test esistenziale che fa tremare ogni certezza: “E’ possibile raggiungere un punto critico di follia collettiva in cui la democrazia non funziona più? Forse ci siamo già”, conclude Boot, e di incrollabile a questo punto sembra non esserci più nulla.
O quasi: è arrivato come una carezza il discorso di Angela Merkel agli studenti di Harvard. La cancelliera tedesca ha ricordato la propria storia, quella che abbiamo sentito tante volte e che è ancora così attuale, il muro da oltrepassare, il desiderio di libertà in quel mondo a due passi da casa eppure inaccessibile. Non date nulla per scontato, ha detto la Merkel, non date per scontata la libertà soprattutto, stupitevi, riflettete, ci sono rischi a essere aperti ma non rassegnatevi, tirate giù i muri, tutti quanti, in particolare quelli “dell’ignoranza e dell’ottusità”. Anche lei deve avere il timore che la democrazia possa sopravvivere a tutto tranne che alla scemenza, ed è così che attaccate-il-cervello è diventato un appello che sa di rivoluzione.
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