Il vertice Conte-Weber sigilla l'irrilevanza italiana in Europa
Incontro tra disperati. Il candidato perdente e pro-austerity del Ppe cerca il premier del governo più isolato e sovranista
Bruxelles. “Vi ringrazio, ma non rilascio dichiarazioni pubbliche. Con Conte ho avuto una discussione privata”. Le poche parole dette da Manfred Weber lasciando Palazzo Chigi, dopo un’ora di incontro con Giuseppe Conte, mostrano quanto debba essere stato politicamente surreale l’incontro avvenuto lunedì tra il candidato del Partito popolare europeo alla presidenza della Commissione e il presidente del Consiglio italiano. Il primo è un esponente della Csu bavarese, sempre pronto a bacchettare le mani bucate dell’Italia, sceso a Roma per cercare di salvare la sua candidatura rivolgendosi al premier di un governo populista e sovranista costruito sulla negazione delle regole Ue e minacciato di procedura per debito eccessivo. Il secondo è totalmente isolato in Europa, per colpa di Matteo Salvini e Luigi Di Maio che hanno fatto esasperare tutti e da cui cerca disperatamente di smarcarsi, e così ricerca l’aiuto di un “falco” forse nella speranza che Angela Merkel si rabbonisca sui conti italiani anche se non ha alcuna strategia sulle nomine Ue. Cosa si siano detti Weber e Conte non si sa. L’Italia sarà “determinante”, ha detto Palazzo Chigi. Ma a Bruxelles tutti danno la candidatura del tedesco come finita e l’Italia fuori dai giochi che contano. “Appena sarà formalizzato, il nome di Weber sarà impallinato da liberali e socialisti”, spiega al Foglio un ambasciatore di uno dei 28 stati membri: “Agli italiani abbiamo chiesto cosa intendono fare sulle nomine, ma non lo sanno nemmeno loro”. E d’altra parte è abbastanza complicata, per non dire surreale, anche la situazione delle alleanza europee sia della Lega sia del M5s. I leghisti non trovano sponde e i Cinque stelle non hanno nemmeno un gruppo parlamentare.
Lunedì infatti i Cinque stelle, dopo essersi offerti nei giorni scorsi con insistenza ai conservatori europei, hanno cercato abbocchi – di nuovo – con i brexiteers di Nigel Farage. Che li ha di fatto respinti. E si spiega così, in parte, anche perché, come dicono a Bruxelles, “gli italiani non sanno cosa fare” su tutta la complessa partita delle nomine. La sovra-rappresentazione dell’Italia nella passata legislatura e l’isolamento politico del governo Conte chiudono la porta a un italiano nei quattro incarichi che i 28 stanno trattando: i presidenti della Commissione, del Consiglio europeo e della Bce, e l’Alto rappresentante per la politica estera. Il nome di Enrico Letta per il Consiglio europeo non è del tutto escluso per il fatto che i socialisti scarseggiano di ex premier con le caratteristiche giuste, ma è considerato quasi impossibile perché dovrebbe realizzarsi un incastro sugli altri incarichi altamente improbabile. Antonio Tajani nutre l’intima speranza di restare presidente dell’Europarlamento, ma a essergli fatale – forse persino più delle sue dichiarazioni sull’Istria e la Dalmazia italiane e Mussolini che “ha fatto anche cose positive”– è la debolezza di Forza Italia che ha eletto soltanto otto europarlamentari. L’unica casella a cui potrebbe aspirare l’Italia è uno dei quattro membri del direttorio della Bce, ma un tedesco (Jens Weidmann) o un francese (François Villeroy de Galhau o Benoît Coeuré) dovrebbe andare al posto di Mario Draghi. Se invece alla Bce andrà un finlandese (Erkki Liikanen e Olli Rehn sono i favoriti), Germania e Francia terranno i loro posti. Comunque – come spiega al Foglio un’altra fonte brussellese – “per aspirare al direttorio della Bce servirebbe un governo italiano lungimirante e in grado di proporre un candidato all’altezza. Non sembrano esserci le condizioni”.
La partita italiana delle nomine Ue in realtà si gioca tutta a Roma e su un unico posto: il commissario che sarà indicato dal governo. La Lega ha più volte espresso l’aspirazione a un portafoglio economico. “Suggerisco da tempo di puntare alla Concorrenza perché è un tema da cui l’Italia ha ricevuto molti danni in questi cinque anni”, ha detto il leghista Marco Zanni. “Ci mandiamo una persona che l’Italia l’ha sempre difesa, una persona che abbia a cuore le nostre imprese, i diritti dei lavoratori, che abbia a cuore la sanità e gli investimenti”, ha scritto su Facebook Luigi Di Maio per scartare Letta (ma ha confuso il posto di commissario con quello di presidente del Consiglio europeo). Il problema è che il candidato del governo dovrà essere accettato dal futuro presidente della Commissione, che attribuirà il portafoglio. Per Concorrenza o Commercio (senza parlare degli Affari economici) servirebbe una persona competente e in linea con l’ortodossia Ue, che nessuno vede nei ranghi di Lega e M5s. Una sorpresa tipo Giulio Tremonti dovrebbe passare un’audizione in un Europarlamento ostile. Tutto il resto sono portafogli di serie B (Agricoltura o Industria) o C (Consumatori o Cultura). In molti sono convinti che si finirà con Enzo Moavero Milanesi, grazie alla complicità del Quirinale. Da mesi il ministro degli Esteri sta facendo una personalissima campagna nell’Ue sul suo nome. Il 2 maggio ha parlato di sé agli Spitzenkandidaten che erano andati a dibattere a Firenze. Il 21 maggio si è proposto a Michel Barnier, l’alternativa del Ppe a Weber. La sua assidua presenza ai Consigli affari generali lascia intravedere il portafoglio su cui potrebbe aver messo gli occhi Moavero: commissario al Bilancio e all’Amministrazione.