Strage MH 17: fu Mosca
Dopo cinque anni le indagini olandesi arrivano ai nomi dei colpevoli: russi legati ai servizi
Roma. La commissione internazionale che indaga da cinque anni sull’abbattimento del volo di linea MH17 ha incriminato quattro persone, sono tre russi legati ai servizi di intelligence della Russia (conosciuti con le sigle Fsb e Gru) e un separatista ucraino che erano già da tempo sospettati di essere coinvolti. Ora la faccenda diventa ufficiale. I quattro erano comandanti nella cosiddetta Repubblica popolare di Donetsk, un territorio di confine controllato dai separatisti, e sono considerati responsabili anche se gli investigatori ancora non conoscono il nome di chi fisicamente premette il bottone che portò all’abbattimento dell’aereo. Il processo comincerà il 9 marzo 2020 all’Aia e molto probabilmente in loro assenza perché gli accusati vivono in Russia, non hanno intenzione di consegnarsi e pure se fossero spiccati mandati di cattura internazionale Mosca non ha intenzione di cederli. Si sa anche che arriveranno altre incriminazioni.
L’aereo cadde nel luglio 2014 con tutti i 298 passeggeri mentre passava sopra una zona occupata da separatisti ucraini appoggiati dalle Forze armate e dall’intelligence militare della Russia.
Da terra scambiarono l’MH17, che era un volo civile ad alta quota operato tra l’Olanda e la Malesia, per un apparecchio militare mandato dal governo di Kiev e decisero di distruggerlo con un missile terra-aria Buk delle Forze armate russe – un lanciamissili cingolato – che dopo il disastro lasciò subito la zona, varcò il confine russo e tornò alla sua base. La testata di quel tipo di arma è programmata per esplodere in migliaia di schegge a poca distanza dal bersaglio e investirlo a novecento metri al secondo con un gigantesco effetto fucile a pallettoni che non lascia speranze – ancora meno nel caso di un aereo passeggeri. I testimoni a terra raccontarono che quel giorno alcuni corpi delle vittime caddero sui tetti delle case di un villaggio e che altri finirono sparsi nei campi. Le operazioni di recupero furono penose e durarono settimane.
La Russia fin dal primo giorno negò ogni responsabilità, accusò l’Ucraina e fece circolare molte versioni alternative per confondere le acque attraverso i soliti canali: le dichiarazioni ufficiali del ministero della Difesa, gli account social delle ambasciate, le tv di stato e un esercito anonimo di commentatori online. Nel corso del tempo la Russia e i suoi provocatori hanno sostenuto che il volo MH17 è stato abbattuto da un jet ucraino, che è stato abbattuto da un missile che doveva colpire l’aereo su cui viaggiava il presidente russo Vladimir Putin, che l’aereo era già pieno di cadaveri e che era stato mandato a schiantarsi apposta per dare la colpa a Mosca e che era stato abbattuto da un missile Buk, ma non russo: ucraino.
Questa campagna di disinformazione inaugurò l’uso in massa di migliaia di finti profili che il governo russo aveva coltivato per anni sui social media con la speranza di usarli un giorno per alterare l’opinione pubblica. Dopo la campagna per il volo MH 17 gli stessi account furono riciclati per appoggiare la candidatura di Donald Trump. Oggi questo sembra un tema trito, ma cinque anni fa il meccanismo era nuovo, poco conosciuto e funzionava alla grande. Suona quasi come un atto di giustizia poetica il fatto che un soldato del reparto a cui apparteneva il lanciamissili abbia rivelato alcuni dettagli importanti perché credeva di chattare con una bella ragazza – che invece era soltanto un profilo social costruito dagli investigatori.
Tutte quelle teorie alternative furono smontate con pazienza, ma intanto il governo russo riuscì a deflettere a lungo la questione centrale: l’appoggio fornito con armi sofisticate e con uomini addestrati ai separatisti che fanno la guerra al governo centrale di Kiev nell’estremo est dell’Ucraina. Senza quell’appoggio l’esercito di Kiev avrebbe chiuso la partita con i gruppi separatisti già da tempo. Definirlo appoggio è riduttivo: i separatisti sono guidati da uomini dell’intelligence militare russa e appoggiati da militari russi. Questo spiega perché cinque anni dopo la questione è ancora aperta.
I quattro incriminati sono: l’ex colonnello dell’intelligence russa Igor Girkin, che è diventato “ministro della Difesa” nella “Repubblica popolare di Donetsk”; Sergei Dubinski, un ex agente dell’intelligence russa che divenne capo dell’intelligence della “Repubblica popolare di Donetsk”; Oleg Pulatov, vice di Dubinsky; Leonid Kharchenko, capo del battaglione di separatisti che era nell’area da dove partì il missile che distrusse l’aereo.