L'Iran abbatte il drone-gioiello degli americani nello Stretto di Hormuz
Aveva violato il nostro spazio aereo, dicono gli iraniani, ma gli americani negano. È possibile un'azione militare
Roma. Oggi le Guardie della rivoluzione islamica dell’Iran hanno annunciato l’abbattimento di un drone americano avvenuto alle quattro del mattino nello Stretto di Hormuz – poco lontano dalla zona dove quattro petroliere erano state attaccate giovedì scorso – e poche ore dopo il Pentagono ha confermato. L’attacco potrebbe avere conseguenze molto serie perché martedì il generale americano Paul Selva aveva avvertito con parole specifiche che l’America non sarebbe intervenuta da sola per proteggere le navi in transito nello Stretto – quindi l’attacco alle petroliere straniere non è considerato un motivo sufficiente per un intervento militare – ma “se gli iraniani prendono di mira cittadini americani, proprietà americane o le Forze armate americane, allora ci riserviamo il diritto di rispondere con un’azione militare”. Il presidente americano, Donald Trump, oggi ha scritto su Twitter: “L’Iran ha fatto un errore molto grosso!”. Potrebbe ordinare un bombardamento di rappresaglia su obiettivi militari dell’Iran, in particolare sulla costa che affaccia sullo Stretto.
L’aereo abbattuto non era uno di quei piccoli velivoli senza pilota usati per seguire le automobili dei terroristi in Iraq e Pakistan a cui associamo di solito la parola drone, ma un Global Hawk RQ-4, che è un apparecchio molto sofisticato che misura 40 metri da una punta dell’ala all’altra e vola anche per più di un giorno a un’altitudine di quasi venti chilometri da terra per sorvegliare porzioni di oceano o vie d’acqua strategiche. Per abbatterlo a quell’altezza impensabile – e anche soltanto per riuscire a vederlo – gli iraniani non possono avere usato un missile terra-aria a ricerca di calore del tipo sparato da un operatore con il tubo di lancio su una spalla, ma devono avere usato i loro sistemi radar più grandi e devono averlo seguito per un po’ di tempo. Poi hanno lanciato una loro versione del missile di costruzione sovietica Buk, che è guidato dai radar ed è conosciuto perché nel luglio 2014 fu usato dai russi per abbattere il volo di linea MH17 in Ucraina.
Gli iraniani dicono che il drone aveva violato il loro spazio aereo, gli americani dicono che invece si trovava in acque internazionali. È un punto cruciale della vicenda perché potrebbe portare a un’azione di rappresaglia, ma le due versioni sono contrastanti. Gli esperti dicono che fare entrare il Global Hawk nello spazio aereo dell’Iran non avrebbe senso: è un drone che resta in altissima quota per raccogliere informazioni, quindi non è costretto ad avvicinarsi a quello che deve vedere, ed è un bersaglio lento e goffo, quindi incapace di sfuggire alla reazione eventuale dei nemici. La sua protezione era rimanere al di fuori dello spazio aereo dell’Iran. Un singolo esemplare di Global Hawk costa 123 milioni di dollari – più dei costosissimi caccia F-35 che costano circa 89 milioni di dollari – e fin da subito è partita la caccia ai rottami, che contengono tecnologia all’avanguardia e sono molto desiderati dagli iraniani, dai russi e dai cinesi.
È possibile che il drone americano stesse volando sopra quella zona del Golfo per sorvegliare eventuali manovre attorno alle petroliere, dopo gli attacchi avvenuti il 12 maggio e il 13 giugno. Proprio il 13 giugno i Guardiani della rivoluzione islamica a bordo di una barca veloce avevano tentato di abbattere con un missile portatile un drone americano – un più modesto Reaper da quindici milioni di dollari – che li stava seguendo poco prima degli attacchi alle petroliere, ma non ci sono riusciti. Il 6 giugno le milizie houthi che combattono in Yemen con l’appoggio dell’Iran sono riuscite ad abbattere un altro drone Reaper con un missile terra aria e la notizia è stata confermata da entrambe le parti. Il capo dei Guardiani della rivoluzione islamica, Hossein Salami, ha detto che l’abbattimento è un messaggio: “Non vogliamo una guerra, ma siamo pronti, e questo è quello che succede a chi vìola i nostri confini”.