Chi è il giapponese che vuole far fare la pace a Usa e Cina al G20
Taro Kono è il padrone di casa, da due anni lavora per riavvicinare Tokyo, Pechino e Washington a forza di selfie e missioni
Roma. Ultimamente è un po’ defilato. Ha smesso di usare il suo profilo Twitter in inglese, e solo qualche giorno fa l’ha ripreso per pubblicare la foto delle bottiglie di vino servite durante il G20 dei ministri delle Finanze, con una immagine caricaturale di Taro Aso – anzi, Aso Taro – il vice primo ministro di Tokyo. Taro Kono – anzi, Kono Taro – il ministro degli Esteri giapponese, è il vero padrone di casa di questo G20, il diplomatico per eccellenza, ed è considerato il ponte che il Giappone può usare per evitare di finire stritolato nel conflitto tra America e Cina.
Kono è nella squadra di governo relativamente da poco: il primo ministro giapponese, Shinzo Abe, lo ha scelto nel rimpasto dell’esecutivo del 3 agosto 2017. Kono ha sostituito Fumio Kishida, che è stato spedito a dirigere gli affari politici del Partito liberal democratico – un ruolo meno esposto, più di politica interna, ma che di solito è la gavetta necessaria per scalare i gradini del partito e poi magari candidarsi alla guida del paese. E quindi, mentre a Kishida – preparatissimo e ingessatissimo – veniva chiesto di seguire un percorso diverso, agli Esteri giapponesi arrivava Kono. Un “maverik”, come lo definiva il quotidiano Mainichi in quei giorni, capace di adattarsi alle richieste delle varie fazioni del Partito liberal-democratico con pragmatico talento, soprattutto durante il suo servizio come presidente della Commissione nazionale per la pubblica sicurezza con deleghe alle riforme della Pubblica amministrazione. Ascolta tutti, Kono, e dice quello che pensa. Non avrebbe mai pensato di fare il ministro degli Esteri, eppure a distanza di un paio di anni, con il Giappone che sta per ospitare l’evento di politica internazionale più importante, Kono è la faccia più riconosciuta e rassicurante per tutti. Ha viaggiato dappertutto – da poco rientrato dalla Mongolia, dov’è andato a negoziare l’aiuto sulla questione nordcoreana – ha lavorato molto sul delicatissimo dossier dei rapporti tra Giappone e Russia, ed è stato uno dei volti del trattato di libero scambio con l’Europa.
Del resto, se fosse una riunione degli Avengers, Donald Trump sarebbe Thanos, il cattivo che con la sua guerra dei dazi sta distruggendo l’economia mondiale. William Pesek, columnist di Forbes e specializzato in economia giapponese, ha raccontato la riunione del G20 che si apre domani a Osaka usando i personaggi della Marvel e la sua metafora pop non è poi così lontana dalla realtà. Thanos, il più potente della specie degli “eterni”, voleva eliminare parte della popolazione umana per salvare la terra (è un cattivo pieno di buone intenzioni, insomma), e ognuno dei partecipanti alla riunione dei Grandi della terra ha qualcosa da dire a Trump, che ha minacciato o colpito con i dazi praticamente tutti, nemici e amici, dal Giappone alla Germania fino all’Australia. L’unico in grado di far paura a Thanos, nell’universo Marvel, è una strana creatura che si chiama Drax il Distruttore. Somiglia molto al presidente Xi Jinping, che a Osaka incontrerà il suo Thanos in un bilaterale attesissimo, e ancora nessuno ha capito come andrà a finire tra i due, mentre la guerra commerciale e tecnologica tra America e Cina si complica sempre di più, e coinvolge anche gli altri convitati. Oltre alla battaglia geopolitica, ci sono le beghe tra alleati: il primo ad arrivare in Giappone è stato il presidente francese Emmanuel Macron, atterrato ieri, che usa l’occasione del G20 per la sua prima visita di stato a Tokyo da quando è presidente. Con il primo ministro Abe si parlerà di “collaborazione strategica”, e secondo l’Eliseo Macron metterà sul tavolo anche “il rafforzamento dell’alleanza Nissan-Renault”, ma nessuna menzione su Carlos Ghosn, l’ex manager del gruppo franco-nipponico detenuto in Giappone. Macron e Abe avevano affidato la discussione sul suo caso ai diplomatici: Taro Kono e la controparte francese, il ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian.
La variabile imprevedibile di questo summit resta comunque il vertice bilaterale tra Trump e Xi. Se Stan Lee, il creatore dei personaggi Marvel, fosse ancora vivo, probabilmente oggi costruirebbe un personaggio capace di usare la diplomazia per evitare lo scontro tra i due titani. Shinzo Abe, che si era guadagnato la fama di abile negoziatore per la sua esperienza sul campo da primo ministro, è ormai fuori dai tavoli più importanti della politica internazionale. Anche il tentativo di fare qualcosa in Iran ha solo peggiorato le cose. E invece Kono nel 2017 fu scelto anche per il suo curriculum perfettamente a suo agio a oriente come a occidente. A metà degli anni Ottanta si è laureato alla Georgetown University, e poi ha lavorato come stagista per il senatore americano dell’Alabama Richard Shelby, democratico passato ai repubblicani nel 1994, un conservatore e uno dei più grandi sostenitori della flat tax, anti-iraniano, anti-saudita – l’anno scorso Taro Kono aveva pubblicato sui social network una loro foto d’epoca insieme, e qualunque comunicatore politico avrebbe sconsigliato di farlo in quella tesissima situazione internazionale.
Ma ciò che lo rende forte è che nel suo curriculum non c’è solo l’atlantismo: Kono è un politico di quarta generazione, com’è uso nel paese del Sol levante, dove la politica è un affare di famiglia. Suo padre Yohei è stato ministro degli Esteri e speaker della Camera, uno dei migliori amici della Cina all’interno del Partito liberal-democratico giapponese – e per questo anche molto criticato. Nel 1993, quando era capo di gabinetto del governo, Kono senior fece la storia pubblicando una famosa dichiarazione in cui riconosceva che l’esercito imperiale giapponese, durante l’occupazione della Corea del nord, aveva costretto le “donne di conforto” a mettersi al servizio dei soldati – contraddicendo il governo, che fino ad allora aveva negato la coercizione. La questione è ancora oggetto di attriti tra Tokyo e Seul, e Taro Kono viene considerato una garanzia di amicizia con Pechino e Seul. Kono è un conservatore anomalo: si è speso moltissimo per contrastare la politica nucleare del suo governo, da anni porta avanti una campagna per diffondere l’uso della lingua inglese in Giappone – “Siamo entrati in un’èra in cui le capacità diplomatiche giapponesi, basate sulla saggezza e sulle idee, sono messe alla prova”, ha detto a febbraio in Parlamento nel suo discorso programmatico, e il ministero degli Esteri ha bisogno di migliorare la propria efficienza, per esempio con lo studio per tutti della lingua inglese. Qualche settimana fa è finito sui media internazionali per aver chiesto ai giornali stranieri di mantenere l’ordine tradizionale di cognome e nome quando citano giapponesi. Il suo stile di comunicazione non è quello dei burocrati nipponici, e non è soltanto per l’uso disinvolto della lingua inglese. Kono si lascia andare spesso all’umorismo, come nella tradizione asiatica difficilmente fanno i suoi colleghi. Parla come un globalista, e usa il suo profilo Twitter in giapponese per segnalare le attività del governo ma anche per commentare le foto simpatiche che gli inviano, manga (i fumetti giapponesi), foto di gatti. Usa molto gli emoji, ma non troppo, e risponde ai troll senza “blastare la gente”: a chi gli scrive “con che faccia parli”, replica con una foto di Robert Redford; “cosa fai che stai sempre in vacanza?”, “Lavoro di più”; se qualcuno gli scrive “ho visto un uomo che somiglia a Kono a Shibuya” (un quartiere di Tokyo) lui si prende la briga di rispondere: “oh, probabilmente ero io”. Qualche tempo fa ha reclutato Duke Togo, uno dei personaggi dei fumetti più celebri degli anni Sessanta, un sicario professionista dalla fama internazionale noto con lo pseudonimo di Golgo 13, per spiegare il terrorismo ai giapponesi che si recano all’estero. Una serie di cartoni animati pubblicati sul sito del ministero in cui compare anche lui, Taro Kono, naturalmente, l’uomo che assegna i compiti a Duke Togo. Chissà se non serva davvero uno così per salvare la situazione a Osaka e ristabilire l’ordine al G20.
I conservatori inglesi