Margrethe Vestager, il commissario europeo alla concorrenza e uno dei candidati alla presidenza della Commissione

Un dream team per l'Ue

Finché si può, sogniamo per l’Europa questi leader (ci accontentiamo anche di un sogno B)

Se i leader avessero a cuore i destini dell’Unione europea, probabilmente l’accordo sulle nomine sarebbe già stato trovato, senza dover attendere un altro vertice dall’esito incerto come quello di domenica. Ma come scrive il Financial Times, “l’Europa ha bisogno di un sogno”, e il dream team per l’Europa è sotto gli occhi di tutti, perfino di Donald Trump. Margrethe Vestager, candidata per la presidenza della Commissione, “odia gli Stati Uniti, forse più di qualsiasi altra persona abbia mai incontrato”, ha detto il presidente americano, avvelenato dalle multe a Google, Apple e Amazon. La liberale danese può avere molti difetti, come aver usato le regole sulla concorrenza per perseguire un’agenda politica, ma non è certo antiamericana. Semmai si è accorta che l’Ue ha la forza economica e giuridica per trattare da pari a pari con gli altri giganti. La Vestager è preparatissima su alcuni settori strategici (finanza, dati, digitale, commercio internazionale) e dopo cinque anni di Commissione “politica” presieduta da Jean-Claude Juncker, che si è distinta per la difesa degli interessi di pochi grandi paesi (Germania e Francia in particolare), è ora di tornare a un esecutivo che faccia rispettare le regole e promuovere l’interesse di tutti gli europei.

 

La casella più importante da riempire domenica in realtà è quella della Bce. Il falco tedesco Jens Weidmann ci piace ben più della colomba francese Benoît Coeuré, ma il candidato in continuità con l’eredità di Mario Draghi è il finlandese Erkki Liikanen. Come Alto rappresentante per la politica estera, invece, ci starebbe bene la bulgara Kristalina Georgieva, numero due della Banca mondiale, vicina ai popolari, europeista dell’est, ma ha rapporti decenti con la Russia. Per il presidente del Consiglio europeo, Angela Merkel sarebbe comunque un sogno. Se per forza servisse un socialista – equilibri europei – l’ideale sarebbe il premier portoghese António Costa o magari uno degli ex dall’Italia (Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni).

 

La storia insegna che nell’Ue i sogni difficilmente si realizzano. Cinque anni fa, i leader preferirono Juncker all’ipotesi un po’ matta di Tony Blair (chissà se con lui ci sarebbe stata la Brexit). Anche questa volta tatticismi e individualismi rischiano di produrre un denominatore comune privo di ambizione. Per la Commissione il francese Michel Barnier è della stessa generazione di Juncker, mentre l’olandese Frans Timmermans è bravo a parole, meno nei fatti. Charles Michel potrebbe andare al Consiglio europeo perché un belga è come il prezzemolo. Affidare l’Alto rappresentante, dopo Federica Mogherini e Catherine Ashton, a un’altra personalità senza esperienza dimostrerebbe che non c’è grande volontà di cambiamento. Pazienza: una leadership passabile è comunque meglio di nessuna leadership. Comunque andrà, la sconfitta dei sovranisti è totale. L’Ue rimane europeista, mentre loro rimangono senza cariche e senza influenza. Perfino all’Europarlamento, dove Lega e M5s non avranno nemmeno una presidenza. Tocca al Pd salvare l’Italia dall’insignificanza: Roberto Gualtieri dovrebbe conservare il posto strategico per le banche e regole fiscali di presidente della Commissione economica. Non molto, ma una buona notizia.

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