Il gran dilemma centrista visto da Ciudadanos: quanto costa schierarsi?
Defezioni, dissensi, rivolte. Albert Rivera sconta la decisione di abbandonare il centro e buttarsi a destra, bloccando il governo
Milano. Ciudadanos, il partito spagnolo guidato da Albert Rivera, sta affrontando in questi giorni la crisi più grave della sua storia recente. Alcuni elementi chiave della dirigenza nazionale si sono dimessi in polemica, altri, pur rimanendo nel partito, rilasciano interviste piene di critiche, mentre i consiglieri di Rivera tengono il giovane leader lontano dai media sperando che la tempesta passi, lui che di solito è piuttosto aperto con i giornalisti. Ciudadanos è davanti a un dilemma tipico dei partiti centristi. Albert Rivera ha usato per anni una retorica di superamento delle distinzioni tra destra e sinistra, si è proposto come ponte tra i due poli tradizionali della politica spagnola, e soltanto pochi anni fa era considerato come un partner di governo perfetto tanto dai conservatori (il Partito popolare) quanto dai socialisti: realista, non ideologico, ragionevole come solo un vero centrista sa essere. Forte di tanti riconoscimenti, Rivera ha cercato di fare il Macron: fare appello a quella stragrande maggioranza di elettori tanto a destra quanto a sinistra che bada poco all’ideologia e molto al risultato, rottamare le vecchie distinzioni politiche e dare inizio a una nuova èra. Non gli è riuscito.
Elezione dopo elezione, Ciudadanos ha continuato a essere una forza minoritaria, incapace di superare i due vecchi poli, benché indeboliti. A un certo punto Rivera ha capito che non gli sarebbe mai riuscito di fare il Macron, e ha deciso di fare l’altra cosa sensata in questi casi: schierarsi. Nello statuto originario di Ciudadanos c’era scritto che il partito è una forza progressista, ma dopo un rapido calcolo – quanto abbia influito l’opportunismo politico e quanto l’affinità ideologica è impossibile dirlo – Rivera ha deciso di buttarsi a destra. L’ultima campagna elettorale l’ha fatta come alleato di fatto delle destre, e nel post elezioni si sta mantenendo fedele al suo posizionamento.
Le conseguenze sono due: a livello nazionale, Rivera si oppone strenuamente a consentire (mediante un’astensione durante il voto di investitura) l’insediamento del governo riformista di Pedro Sánchez; a livello locale, Rivera sta dando il suo assenso a tutta una serie di governi cittadini e regionali in alleanza con il partito di estrema destra Vox. Così sono cominciate le defezioni. Manuel Valls, ex primo ministro francese di origini catalane che voleva rifarsi la carriera politica tra i liberali spagnoli, ha fatto interviste infuocate contro Rivera. Pochi giorni fa Toni Roldán, deputato di punta e consigliere economico di Rivera, ha lasciato tutti gli incarichi politici dicendo che non riconosce più il partito in cui era entrato anni fa (“Non sono io che sono cambiato, è cambiato Ciudadanos”). Lunedì, dopo una discussione dentro alla segreteria politica sulla strategia delle alleanze, ha lasciato Ciudadanos anche l’eurodeputato Javier Nart. Luis Garicano, professore celebre e stratega economico di Ciudadanos da poco nominato all’Europarlamento, per ora non si dimetterà ma ha rilasciato al País interviste per sottolineare il suo disaccordo con Rivera. Anche nei territori ci sono ripercussioni: sempre lunedì Juan Vázquez, ex rettore dell’Università di Oviedo, ha annunciato la rinuncia del suo seggio nel Parlamento regionale in polemica con le alleanze decise da Ciudadanos.
Il grande dilemma centrista sta fratturando il partito promessa del liberalismo iberico, che ormai non è più tanto liberale. Dire che le possibilità sono infinite per le forze politiche centriste ormai è diventato un cliché in tutto l’occidente, ma poi al centro bisogna saperci restare, e l’unico che ne è stato capace, finora, è il presidente francese.