I nuovi dannati della croce
Sono i cristiani dell’Africa subsahariana. La faglia dove cristianesimo e islam si incontrano e scontrano
Una volta si chiamavano i “dannati della terra”, i colonizzati di Frantz Fanon, gli oppressi, i declassati, gli affamati, gli sfruttati della colonizzazione. I nuovi dannati della terra abitano nell’Africa subsahariana e sono i cristiani vittime della nuova forma di colonizzazione, l’odium fidei.
Ospiterà un terzo dei cristiani e dei musulmani di tutto il mondo. Una esplosione demografica all’origine dell’odium fidei
Se la demografia è destino, il futuro del cristianesimo è là. Entro il 2060, più di quattro cristiani su dieci al mondo vivranno nell’Africa subsahariana, dal 26 per cento nel 2015, secondo una nuova analisi dei dati demografici del Pew Research Center. Allo stesso modo, l’Africa subsahariana ospiterà una quota sempre più crescente di musulmani del mondo. Tra il 2015 e il 2060, la quota di tutti i musulmani nella regione dovrebbe aumentare dal 16 al 27 per cento, superando il medio oriente e il Nordafrica come seconda popolazione musulmana al mondo. In un secolo, il numero di musulmani che vivono nell’Africa subsahariana è aumentato di oltre 20 volte, passando da 11 milioni nel 1900 a 234 milioni nel 2010. Allo stesso tempo, il numero di cristiani è cresciuto di 70 volte, passando da 7 milioni a 470 milioni. Siamo passati dalla cristianizzazione dell’Africa all’africanizzazione della cristianità. Secondo il Pew Forum, nell’Africa subsahariana ci vivono i cristiani più devoti del mondo e sono loro a essere più sotto attacco.
Ha detto Robert Sarah, arcivescovo della Guinea: “L’islam ha un solo progetto, fare dell’Africa un continente islamico”
Una dinamica demografica che ha innescato la peggior persecuzione anticristiana al mondo. Ron Boyd-MacMillan scrive in un rapporto per Open Doors: “L’estremismo islamico ha due centri di gravità globali, uno nel medio oriente arabo, l’altro nell’Africa sub-sahariana”. La Nigeria con 2.484 morti e la Repubblica centrafricana con 1.088 morti nel 2015 è finita in cima alla lista dei cristiani uccisi a causa della propria fede. Lo scorso novembre, nella cattedrale di Alindao (Repubblica centrafricana), i guerriglieri islamici Seleka hanno fatto quasi cento morti. “Hanno dato alle fiamme la cattedrale dove hanno ucciso due sacerdoti” ha detto all’agenzia Fides monsignor Juan Josè Aguirre Munos, vescovo di Bangassou. “Subito dopo hanno lasciato entrare gruppi di giovani musulmani che hanno saccheggiato la casa episcopale e hanno dato alle fiamme il presbiterio e il centro della Caritas. Di queste strutture rimangono solo i muri”.
L’Africa subsahariana è stata a lungo relativamente immune al richiamo della militanza islamista. A causa delle sue origini religiose non ortodosse radicate in pratiche come il sufismo, oggi l’area è diventata il fronte in più rapida crescita della jihad globale e forse la più mortale. Come il Sudan, che si è diviso in due col nord musulmano e il sud cristiano, l’Africa sub-sahariana e centrale è oggi la grande linea di faglia religiosa, paesi spezzati a metà fra le due grandi religioni monoteistiche, prima di scendere a sud nel continente e vedere scemare l’influenza dell’islam. Samuel P. Huntington ha coniato l’espressione “scontro di civiltà”. Eliza Griswold affronta lo stesso argomento attraverso la “zona torrida”. E’ il libro sul “Decimo parallelo” (sottotiolo, “dispacci dalla linea di frattura fra islam e cristianesimo”, uscito da Farrar, Straus and Giroux) dove il cristianesimo e l’islam si incontrano e si scontrano. Fra il Decimo parallelo nord e l’Equatore vivono, fianco a fianco, più di metà della popolazione islamica e più di metà di quella cristiana.
Per questo in Niger e molti paesi vicini, il ritmo dell’islamizzazione è stata vertiginosa. Issoufou Yahaya, uno storico del Niger, dice al Wall Street Journal che quando ha studiato all’Università di Niamey alla fine del 1980, non c’era una sola moschea nel suo campus. “Oggi abbiamo più stanze di preghiera di aule”, ha detto Yahaya. Solo l’arrivo di colonialisti e missionari cristiani europei ha fermato la marcia verso sud dell’islam. Con l’Etiopia copta e i piccoli regni cristiani del Sudan meridionale, per secoli l’islam non riuscì a scavalcare il Corno d’Africa. Questo ha creato una divisione religiosa tra musulmani e cristiani che ha dominato la politica di molti paesi africani. Il proselitismo saudita, qatariota e di altri stati arabi fondamentalisti ha invaso questi paesi dopo la rivoluzione iraniana del 1979. E la competizione continua. Per i cristiani ortodossi dell’Etiopia, l’antica città di Aksum è un luogo sacro, sede della Regina Biblica di Saba e dell’Arca dell’Alleanza. Alcuni gruppi musulmani stanno conducendo una campagna per costruire una moschea in città. “Aksum è la nostra Mecca”, dichiara l’anziano religioso Godefa Merha, che crede che, proprio come le chiese sono bandite nel luogo più sacro dell’islam, le moschee non possono esistere ad Aksum. “Aksum è un luogo sacro, questa città è un monastero”, dice Godefa, vice capo della Chiesa di Nostra Signora Maria di Sion di Askum. “Se qualcuno viene a costruire una moschea, moriremo. Non è mai stato permesso e non permetteremo che accada nella nostra epoca”.
Quasi cento cristiani sono stati appena uccisi in un attacco in un villaggio nel Mali centrale, abitato dal gruppo etnico cristiano Dogon. “Circa 50 uomini armati pesantemente sono arrivati su motociclette e camioncini”, ha detto all’agenzia Afp un sopravvissuto che si è fatto chiamare Amadou Togo. “Prima hanno circondato il villaggio e poi hanno attaccato. Chiunque abbia cercato di fuggire è stato ucciso. Nessuno è stato risparmiato: donne, bambini, anziani”. Una fonte di sicurezza maliana sul luogo del massacro ha detto a Open Doors: “Un villaggio Dogon è stato praticamente spazzato via”. “Avete tre giorni per andarvene o sarete uccisi”, hanno appena intimato i fondamentalisti islamici di Boko Haram ai cristiani di Diffa, nel Niger. Ultimatum di morte; città-fantasma da cui i cristiani sono fuggiti; rapimenti, messe che diventano massacri. Ovunque le stesse scene: Niger, Repubblica centrafricana, Nigeria, Burkina Faso… E’ un ecumenismo del sangue.
L’espansione del cristianesimo africano lo si vede non soltanto dal numero di sacerdoti di colore in Europa, ma anche dal numero di mega chiese in Africa. Il “vangelo della prosperità” di David Oyedepo raduna una folla di 50 mila persone nella Living Faith Church fuori Lagos. E’ la terza più grande chiesa pentecostale della Nigeria. Degli 80 milioni di cristiani nigeriani, circa la metà sono membri di una chiesa pentecostale. Eppure, di “cristiani uccisi come polli in Nigeria” ha parlato a gennaio l’arcivescovo Matthew Man-Oso Ndagoso della diocesi di Kaduna in Nigeria. Cento i morti soltanto ad aprile. Il vescovo Peter Iornzuul Adoboh ha detto che l’obiettivo delle stragi è “islamizzare la fascia centrale della Nigeria”. Sono decine di migliaia i cristiani uccisi, altrettante le chiese distrutte, in Nigeria. Secondo Save the Persecuted Christians, circa 6.000 sono stati uccisi in tutta la Nigeria nella prima metà dello scorso anno. Open Doors parla anche di cristiani “trattati come cittadini di seconda classe” e sottoposti a “lesioni fisiche, perdita di proprietà e pressioni a rinunciare al cristianesimo”.
Il colonialismo e i missionari cristiani europei avevano fermato la marcia verso sud dell’islam. Oggi è in corso una islamizzazione
“Non c’è più alcun cristiano in questa città”, ha appena detto un contatto alla ong Barnabas. La città in questo caso è Arbinda, nel Burkina Faso. 82 pastori, 1.145 cristiani e 151 famiglie sono fuggiti dalla violenza islamista nella nazione a maggioranza musulmana. Diversi fedeli e sacerdoti cristiani sono stati assassinati nelle ultime settimane. Un rapporto di Open Doors di questa settimana dettaglia le stragi nel Burkina Faso. I militanti islamici hanno costretto 100.000 persone in Burkina Faso a fuggire dalle loro case negli ultimi mesi. Questo è un elenco delle stragi negli ultimi sei mesi. Il 15 febbraio un prete di 72 anni è ucciso al confine a Nohao. Il 19 febbraio muore un pastore di 54 anni sulla strada tra Tasmakatt e Gorom Gorom. Il 23 aprile un pastore vicino alla città principale di Arbinda nel Sahel. Il 28 aprile, nella piccola città di Silgadji, vicino a Djibo, nel nord del Burkina Faso, assassinano il pastore ottantenne, suo figlio, il cognato, un insegnante di scuola elementare e altri due. Gli era stato detto di convertirsi all’islam ma si sono rifiutati. Il 12 maggio hanno ucciso sei persone, tra cui un prete, quando uomini armati hanno preso d’assalto una chiesa a Dablo, nel nord del Burkina Faso durante la messa. Hanno bruciato la chiesa, i negozi, il centro sanitario e altri edifici della comunità. Poi l’esecuzione del 13 maggio di quattro fedeli a Singa. Stavano portando in processione una statua di Maria nella loro parrocchia a Zimtenga quando sono stati intercettati. Il 26 maggio l’omicidio di quattro fedeli durante la messa a Toulfe. Ousmane Zongo, il sindaco di Dablo, dove si è verificato l’attacco, ha ricordato l’incidente: “Verso le 9, durante la messa, persone armate hanno fatto irruzione nella chiesa cattolica… Hanno bruciato la chiesa. E’ una città fantasma. Questi cristiani sono nel punto cieco dell’Occidente: sono “troppo cristiani” per attirare l’attenzione della sinistra, troppo africani per la destra. Sono orfani.
Massacri nelle chiese, fughe di massa, rapimenti, conversioni forzate. Ovunque le stesse scene, dal Niger al Burkina Faso
Come ha detto Robert Sarah, arcivescovo della Guinea e già presidente della Conferenza episcopale dell’Africa occidentale, “qualunque siano le sue tendenze, l’islam ha un solo progetto: fare dell’Africa un continente islamico. C’è effettivamente una volontà e una strategia ben elaborata per islamizzare e persino arabizzare l’Africa. E ci sono i mezzi finanziari e la propaganda mediatica disponibili per la riuscita di questo piano”. Ogni anno, Open Doors elenca i 50 peggiori paesi persecutori cristiani. 14 paesi africani ospitano livelli di persecuzione “estremi” o “molto alti”: Algeria, Repubblica Centrafricana, Egitto, Eritrea, Etiopia, Kenya, Libia, Mali, Mauritania, Marocco, Nigeria, Somalia, Sudan e Tunisia. Il Mali, per esempio, non era sulla lista dieci anni fa. Oggi è fra i primi dieci, complice l’islamizzazione, come è successo in Somalia, storicamente legato all’islam sufi. A Zanzibar, famosa per le sue spiagge dove più di 17 mila turisti vengono ogni anno per nuotare con i delfini e riposare sotto gli alberi di cocco, l’Arabia Saudita spende un milione di dollari all’anno in proselitismo e ne ha fatto un avamposto di islamizzazione nell’Africa centro-orientale. L’organizzazione benefica di al Noor, istituita con denaro proveniente da donatori privati da Dubai e Arabia Saudita, ogni anno paga studenti e insegnanti per studiare in Sudan, Abu Dhabi e Arabia Saudita.
Nel romanzo “Radici del cielo”, vincitore nel 1956 del premio Goncourt in Francia, Romain Gary fa dire a uno dei suoi personaggi, musulmano: “Un giorno l’Africa nera sarà dalla nostra parte, la nostra religione è più giovane, più ardente, ha l’impeto e la potenza del vento del deserto che l’ha vista nascere, finirà per trionfare. Un’Africa islamizzata sarebbe nel mondo una forza irresistibile. E lo sarà”. Se conquistano il decimo parallelo, gli islamisti si prenderanno tutta l’Africa, facendo salire al cielo un solo adan (richiamo della preghiera islamica) che va dai minareti della Libia alle moschee sudafricane di Durban.
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