I voti su Sassoli mostrano le criticità del nuovo Parlamento (la Von der Leyen prenda appunti)
L’europeista pd alla guida dell'aula di Strasburgo (con gran discorso). Le fratture tra i gruppi e i malumori di Verdi e socialisti
Bruxelles. David Sassoli ieri è stato eletto presidente del Parlamento europeo ed è toccato al Partito democratico strappare nel finale uno dei più importanti incarichi dell’Unione europea per l’Italia, confermando – se ce ne fosse bisogno – l’isolamento del governo tra Lega e Movimento 5 stelle in Europa. Checché ne dica Matteo Salvini, secondo cui non è stata rispettata la volontà degli elettori, la lezione è semplice: nelle democrazie chi fa parte della maggioranza governa e vale anche per l’Ue. Essere al potere nel Lazio non garantisce il potere a Roma se si è opposizione a livello nazionale. Essere al potere a Roma non garantisce potere a Bruxelles e Strasburgo se si è opposizione distruttrice in Europa. Il Pd è saldamente nella maggioranza europeista che si sta costruendo nell’Ue tra popolari, socialisti, liberali e Verdi. I suoi 19 deputati – seconda delegazione dietro agli spagnoli nel gruppo dei Socialisti&Democratici – contano molto più dei 42 governativi che passeranno i prossimi cinque anni a sbraitare contro l’Ue. Contrariamente al suo predecessore Antonio Tajani (che aveva interpretato il suo ruolo come presidente di garanzia), Sassoli ha fatto un discorso politico e battagliero in linea con le priorità della nuova agenda europeista: emergenza climatica, uguaglianza sociale, la necessità di arrivare a un accordo su Dublino. C’è molto da fare, ma molto anche da preservare di fronte all’assalto dei nazional-populisti di tutto il continente. “Non siamo un incidente della storia, ma i figli e i nipoti di coloro che sono riusciti a trovare l’antidoto a quella degenerazione nazionalista che ha avvelenato la nostra storia. Se siamo europei è anche perché siamo innamorati dei nostri paesi. Ma il nazionalismo che diventa ideologia e idolatria produce virus che stimolano istinti di superiorità e producono conflitti distruttivi”, ha detto Sassoli.
Eppure per Sassoli non c’è stata una standing ovation, solo applausi poco appassionati: nella plenaria di Strasburgo ieri si respirava tutta l’incertezza dei numeri che hanno portato l’eurodeputato del Pd alla presidenza. I 345 voti ottenuti alla seconda votazione sono lontani dai 376 necessari a confermare la tedesca Ursula von der Leyen presidente della Commissione. Sia nel dibattito interno ai socialisti che ha portato alla candidatura di Sassoli, sia nei due scrutini di ieri all’Europarlamento sono emersi i malumori dei deputati per il pacchetto di nomine concordato tra i capi di stato e di governo martedì. Al primo voto Sassoli ha ottenuto appena 325 voti, il che significa un centinaio di franchi tiratori tra popolari, liberali e socialisti (i Verdi con i loro 74 deputati avevano candidato la tedesca Ska Keller, che ha ottenuto 133 voti). Una parte dei socialisti – a cominciare dalla Spd tedesca – e dei liberali ha dirottato i suoi voti su Keller. Una parte dei popolari – soprattutto quelli dell’est – ha preferito l’euroscettico ceco Jan Zahradil, che con 160 voti ne ha ottenuti 100 in più della consistenza del suo gruppo. Come se non bastasse, si è aperto un conflitto tra Verdi e liberali sulle vicepresidenze dell’Europarlamento. I macroniani di Renew Europe hanno ricevuto indicazione di votare per un europarlamentare di Fidesz invece che segnare sulla scheda un candidato ambientalista. “Che fine hanno fatto i valori che predicano costantemente”, si è chiesta la portavoce dei Verdi, Ruth Reichstein. Prima ancora di nascere, la coalizione jumbo tra popolari, socialisti, liberali e Verdi – in teoria una solidissima maggioranza europeista di 518 deputati su 751 – rivela la sua fragilità.
Von der Leyen, che almeno può contare sul Ppe, ora ha meno di due settimane per convincere socialisti, liberali e Verdi che è la donna giusta per guidare la Commissione nei prossimi cinque anni. La tedesca dovrà fare concessioni sul programma su temi sensibili per la sua famiglia politica e per la Germania: riduzione delle emissioni a tappe forzate, riforma più ambiziosa della zona euro, fondi comunitari solo per chi mette a rischio la democrazia, più solidarietà interna sui richiedenti asilo. I liberali di Renew Europe si possono conquistare abbastanza facilmente (il pacchetto sulle nomine è stato il capolavoro di Emmanuel Macron). I Verdi alzeranno la posta su clima, stato di diritto e immigrazione. Ma i più difficili da convincere saranno i socialisti, perché la gestione della partita sulle nomine da parte di Pedro Sánchez ha scontentato tutti i suoi. Il premier spagnolo ha portato a casa per sé lo scialbo Joseph Borrell come Alto rappresentante per la politica estera, ma ha lasciato cadere l’olandese Frans Timmermans e tutti gli altri progressisti in campo. Perfino Sassoli, candidato dalla capogruppo spagnola Iratxe García Pérez, è stato vissuto da alcuni socialisti come un tradimento. Von der Leyen avrà bisogno del Pd per evitare che il pacchetto nomine che dovrebbe portarla alla testa della Commissione venga smontato il 17 luglio.