Tutti contro von der Leyen? Mica tanto. La spaccatura dei sovranisti
La candidata tedesca dovrebbe superare la soglia dei 376 voti a Strasburgo, anche con qualche defezione. La Lega pare sia a favore, e rischia una beffa
Bruxelles. La rivolta contro Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea si sta già sgonfiando. A una settimana dal voto di conferma del Parlamento europeo, il percorso della ministra della Difesa tedesca per entrare al Berlaymont – la sede dell’esecutivo comunitario – e occupare l’ufficio di Jean-Claude Juncker appare meno complicato. Il Partito popolare europeo (Ppe) ha annunciato di aver rinunciato alle barricate per difendere il suo candidato Manfred Weber o almeno il processo degli Spitzekandidaten (i capilista dei partiti politici europei). I liberali di Renew Europe sono soddisfatti con il pacchetto di nomine negoziato da Emmanuel Macron. Anche dentro il gruppo dei Socialisti&Democratici (S&D) sta rapidamente scemando la rabbia per la decisione dei leader di eliminare dalla corsa Frans Timmermans. “I due terzi dei socialisti sono pronti a votare a favore di von der Leyen”, spiega una fonte interna: “In Germania anche una parte dell’Spd più pragmatica non esclude di dare indicazione di votarla”. Tra i gruppi europeisti, solo i Verdi continuano a insistere sugli Spitzenkandidaten: “Il passo indietro sulla procedura democratica è un ostacolo” per votare von der Leyen ma “aspetteremo il programma”, ha spiegato ieri la presidente dei Verdi, Ska Keller, dopo un incontro con la candidata: “Vogliamo vedere un’offerta”, in particolare su clima e salvataggi di migranti in mare. Von der Leyen domani farà una serie di incontri con i gruppi all’Europarlamento per convincerli che è lei la persona giusta per guidare l’Ue nei prossimi cinque anni. Senza i Verdi, una coalizione a tre tra Ppe, S&D e Renew Europe ha 444 deputati, ben oltre la maggioranza assoluta necessaria a eleggere il presidente della Commissione: calcolatrice alla mano, von der Leyen dovrebbe riuscire a superare facilmente la soglia dei 376 voti il 16 luglio a Strasburgo anche con qualche defezione.
La candidatura von der Leyen, per contro, potrebbe portare alla prima seria spaccatura dentro i vari fronti nazionalisti, più fedeli alle indicazioni che vengono dalle loro capitali che alla causa comune contro l’Ue. La ministra tedesca è una figlia dell’élite comunitaria che vuole l’unione politica e gli Stati Uniti d’Europa: tutto il contrario della destrutturazione dell’Ue con il rimpatrio di competenze predicato dai sovranisti. Ma il gruppo di Visegrad considera von der Leyen come un male minore rispetto a Timmermans e sufficientemente attenta agli interessi dei paesi dell’est. Gli eurodeputati del PiS polacco la sosterranno, anche se una parte del loro gruppo dei Conservatori e riformatori (Ecr) voterà contro. Tuttavia la frattura più clamorosa è quella che potrebbe realizzarsi nel gruppo Identità e Democrazia messo in piedi da Matteo Salvini e Marine Le Pen, dove i leghisti italiani rischiano di trovarsi su sponde opposte ai frontisti francesi e agli alternativisti tedeschi. Giovedì scorso Marco Zanni, il capogruppo di Identità e Democrazia, aveva definito le nomine come uno “spettacolo indegno”: il pacchetto con von der Leyen alla Commissione non fa “presagire il forte cambiamento che ci hanno chiesto i cittadini europei il 26 maggio”, né “un cambio di linea”. Poi c’è stato l’appello del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a sostenere von der Leyen (in ballo c’è anche il portafoglio del commissario italiano) ed è stato Zanni a iniziare a cambiare linea. “Vediamo da qui al 16 luglio gli elementi che metterà in campo, sia in termini di linee programmatiche sia riguardo alla squadra che vorrà mettere in piedi e valuteremo se dare supporto o no”, ha detto Zanni sabato. Turarsi il naso per il portafoglio della concorrenza? Se von der Leyen dovesse accettare la richiesta dei Verdi di mettere il salvataggio in mare migranti nel suo programma, per gli eurodeputati leghisti si annuncerebbe, oltre al danno di essere una stampella irrilevante, anche la beffa di votare per un presidente della Commissione che si impegna ad aprire i porti.
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