Trump odia la Silicon Valley, ma fa di tutto per proteggerla dai francesi
La tassa digitale di Parigi e il “social media summit”
Milano. Il presidente americano, Donald Trump, ha un rapporto contrastato con le grandi piattaforme di internet. Da un lato le odia, le considera schiave della sinistra, censuratrici del libero pensiero della destra (estrema); dall’altro sa che sono le compagnie con più grande capitalizzazione di mercato al mondo e sono dei campioni dell’economia americana. Così, nelle stesse ore, Trump ha dato sfogo a questo sentimento bipolare con due iniziative opposte. Ha organizzato alla Casa Bianca un grande summit sui social media in cui personaggi equivoci e direttori di magazine online poco noti – tra cui molte stelle dell’estremismo di destra online – sono stati chiamati per accusare le piattaforme di essere troppo di sinistra (Google, Twitter e Facebook non erano invitati); d’altro canto, il giorno prima, ha dato istruzione al rappresentante per il Commercio, Robert Lighthizer, di valutare sanzioni contro la Francia perché, a suo dire, con una nuova webtax discrimina proprio le odiate aziende americane. Trump da un lato inscena un piccolo processo anti Google e anti Facebook alla Casa Bianca, dall’altro mette in crisi le relazioni con un alleato europeo pur di difendere le medesime aziende.
La legge approvata ieri in via definitiva dal Senato francese prevede una tassa del 3 per cento sui ricavi delle aziende che offrono servizi tecnologici e che hanno un fatturato complessivo di 750 milioni di euro all’anno, di cui almeno 25 in Francia. I francesi sono piuttosto espliciti su chi sono i destinatari di questa legge: senza troppe controversie, i giornali parlano di “taxe Gafa”, dove Gafa sono Google, Amazon, Facebook e Apple. Questa misura si inserisce in un contesto più ampio in cui un po’ tutti i paesi del mondo si chiedono come gestire questi giganti sovranazionali che macinano profitti nel loro paese. Secondo uno studio della Commissione europea, nei paesi dell’Ue le aziende digitali pagano una tassazione media del 9,5 per cento, contro il 23,2 per cento dei business tradizionali. Questo perché – dicono le aziende interessate – gran parte delle tasse le pagano in America, e comunque nei singoli paesi pagano tutto il dovuto, ma molte capitali ritengono la spiegazione non sufficiente. Da anni i paesi dell’Ocse cercano di trovare un accordo globale per la tassazione delle aziende tech, e la Francia è stata tra i paesi promotori della trattativa – a cui partecipano anche le aziende stesse. Ma visto che i risultati per ora scarseggiano, Parigi ha deciso intanto di muoversi da sola: secondo il ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, la tassa potrebbe portare entrate per lo stato di 400 milioni di euro nel 2019, e di 650 milioni dal 2021. L’iniziativa francese potrebbe essere la prima di tante. Quasi tutti i paesi europei, dalla Germania al Regno Unito all’Italia, hanno avanzato proposte di varia natura per tassare la Silicon Valley.
La sola idea che mungere le aziende americane possa portare fondi nelle casse di Emmanuel Macron fa impazzire di rabbia Donald Trump. Il presidente ha chiesto a Lighthizer di lanciare un’indagine per verificare se la tassa è “discriminatoria” o se rappresenta un peso ingiusto nei confronti delle sole aziende americane. E’ il meccanismo che Trump sta usando per minacciare dazi e tariffe sull’acciaio e sulle automobili, e il risultato finale potrebbe essere lo stesso: dazi imposti contro la Francia per difendere Google e Facebook.
E’ un’ipotesi per ora molto remota, ma un indice di come la governance di internet – e delle aziende che lo dominano – sarà uno dei temi diplomatici fondamentali dei prossimi anni, e un tema che non risparmia le alleanze tradizionali: la guerra tecnologica non sarà soltanto tra Stati Uniti e Cina. Il problema è accentuato da un presidente americano protezionista che però odia i campioni nazionali che dovrebbe proteggere.
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