Il viceministro degli Esteri cinese Le Yucheng nel 2018 al Consiglio per i diritti umani dell'Onu (LaPresse)

L'Italia condanna la Cina sui diritti umani, guai in vista sulla Via della Seta

Giulia Pompili

Guerra di propaganda al Consiglio per i Diritti umani dell'Onu appena concluso. Una lettera dell'occidente compatto (senza l'America) contro le detenzioni di massa nello Xinjiang, Pechino replica con una missiva firmata da Russia, Corea del nord e altri paesi amici

L'Italia ha firmato la lettera in cui i rappresentanti di almeno altri ventidue governi chiedono alle Nazioni Unite di intervenire sulle detenzioni di massa da parte della Cina nella regione dello Xinjiang. Lo ha confermato al Foglio la Farnesina. Una prima versione della lettera, datata 8 luglio, era circolata online nei giorni scorsi, ma in calce, tra le firme di ventidue ambasciatori di paesi membri del Consiglio, non compariva il nome dell'ambasciatore Gian Lorenzo Cornado, rappresentante permanente presso le Organizzazioni internazionali a Ginevra. Il sospetto, circolato tra gli analisti di questioni asiatiche, era che l'Italia, in quanto paese firmatario della Via della Seta, avesse deciso di non prendere una posizione su una questione molto delicata per Pechino.


Secondo la Farnesina, l'adesione verbale di Cornado sarebbe arrivata venerdì, durante l'ultimo giorno della 41esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani, che si è svolto dal 24 giugno al 12 luglio e si è concluso con l'adozione di 26 risoluzioni. Probabilmente, oltre all'Italia, anche altri paesi hanno aderito dopo la diffusione della prima versione della lettera ma per saperlo bisognerà aspettare la pubblicazione ufficiale.

Nella missiva, destinata al presidente del Consiglio Coly Seck e all'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet, gli ambasciatori dei paesi firmatari esprimono "preoccupazione" per le "detenzioni arbitrarie", per la sorveglianza di massa e le restrizioni che "colpiscono particolarmente gli uiguri e altre minoranze nello Xinjiang, in Cina". Gli ambasciatori chiedono alla Cina di cooperare con il Consiglio per ristabilire la promozione e la protezione dei diritti umani.
Come espressamente richiesto nel testo, la lettera dovrebbe essere pubblicata integralmente tra i documenti della 41esima sessione del Consiglio dei Diritti umani. E' una mossa molto importante, ma soprattutto un'iniziativa "senza precedenti", scrive Reuters. Eppure, secondo i diplomatici ascoltati da Reuters, "non è stata presentata alcuna dichiarazione formale al Consiglio né è stata proposta una risoluzione da mettere ai voti, come era stato richiesto dagli attivisti, perché il timore è di una reazione politica ed economica da parte della Cina".


Una reazione che in effetti c'è stata. Venerdì gli ambasciatori di 37 paesi dall'Asia fino al medio oriente hanno firmato una lettera - non inserita però ufficialmente tra gli atti della riunione plenaria, perché non tutti i paesi sono membri del Consiglio per i diritti umani - in cui lodano le attività cinesi nello Xinjiang e il "contributo della Cina alla causa internazionale dei diritti umani". Secondo la versione di Pechino, i campi di detenzione dello Xinjiang sono "campi di rieducazione" dove si combatte l'estremismo islamico. E tra i paesi firmatari della lettera ci sono il Pakistan, l'Arabia Saudita - paesi a maggioranza musulmana - ma anche Russia, Corea del nord, Venezuela, Cuba e molti paesi africani.


Come spesso accade in questi casi, e nei luoghi simbolo della cooperazione e del multilateralismo, le contraddizioni sono evidenti. Per esempio, durante l'ultimo giorno di assemblea, il Consiglio ha approvato una risoluzione proposta dalla Cina chiamata: "Il contributo dello sviluppo finalizzato al godimento di tutti i diritti umani". "Riaffermando che tutti i diritti umani sono universali, indivisibili, interdipendenti e interconnessi", scrive Xinhua, l'agenzia di stampa cinese, "la risoluzione riafferma la necessità da parte della comunità internazionale di trattare i diritti umani a livello globale in modo equo, sullo stesso piano e con la stessa enfasi, e di riconoscere che priorità di ogni paese è migliorare la vita dei cittadini". Il 25 giugno l'assemblea ha ospitato Aierken Tuniyazi, vicegovernatore dello Xinjiang e di origine uigura, che ha parlato ancora di "centri di rieducazione" riproponendo la versione ufficiale di Pechino.


La Cina è uno dei 47 membri del Consiglio per i Diritti umani, che ha sede a Ginevra ed è uno degli organismi più importanti dell'Onu: ha infatti il potere di votare risoluzioni, e può commissionare indagini e avviare procedure d'inchiesta, nominando team di esperti su determinate aree di crisi. I paesi membri, determinati secondo la ripartizione geografica, sono eletti ogni tre anni dall'Assemblea generale dell'Onu con scrutinio segreto. L'Italia è entrata nel Consiglio per la terza volta nel gennaio del 2019 e ci resterà fino al 2022. La Cina finisce il suo triennio alla fine del 2019.

L'8 luglio scorso Denise Oh, popstar e attivista di Hong Kong, era stata invitata a parlare all'Assemblea di Ginevra. Durante il suo discorso di due minuti è stata interrotta due volte dal rappresentante della Cina.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.