Il dramma vero dell'Europa è il non essere patria per nessuno
Un ideale tanto evocato ma consumato dal tempo. Il suo apparente universalismo maschera insuperabili particolarismi
In politica l’idealismo funziona solo quando maschera e sublima interessi materiali. Il senso del dovere diventa una forza attiva solo quando spinge alla rivendicazione di diritti minacciati o non riconosciuti. Libertà, uguaglianza, autonomia, indipendenza, entrano in politica solo in quanto difesa dei propri interessi. Nessun gruppo, categoria, ceto, classe, comunità, regione, popolo si impegna generosamente, con abnegazione, tenacia e patriottico eroismo se non per la propria emancipazione, promozione, benessere, sviluppo economico. Ben pochi fanno politica per i diritti, gli interessi, la libertà di qualcun altro. Neppure le religioni riescono a essere tanto idealistiche da sacrificarsi per la difesa di altre religioni. In questo senso, l’idealista Mazzini che voleva l’Italia unita e indipendente non era meno materialista, anzi più materialista, del materialista filosofico Marx, che si batteva per una classe operaia internazionale alla quale evidentemente non apparteneva, né in quanto tedesco né in quanto intellettuale. Gandhi usò l’ideale della nonviolenza sapendo che era lo strumento politico più efficace sia per mobilitare gli indiani che per fronteggiare, ricattare, neutralizzare il superiore potere imperialistico di un paese come l’Inghilterra.
Oggi, con tutti i suoi difetti e le sue debolezze, il suo passato autodistruttivo e la sua decadenza, l’Europa è il più sicuro spazio continentale del pianeta, il più civile e democratico, il più moralistico e idealistico. Eppure non manca certo di egoismi e grettezze. Nonostante la costituzione di una Unità europea, è tutt’altro che unitario e solidale. Il suo apparente universalismo maschera evidenti e insuperabili particolarismi. Per questo, un patriottismo europeo non esiste. L’Europa non è una patria per nessuno, nonostante gli sperperi di parole etico-filosofiche di cui è capace la bombastica retorica dei suoi intellettuali che parlano di riconoscimento e accettazione dell’Altro. Quale europeo ama oggi l’Europa come una patria?
Perfino la sinistra marxista e antimperialista ha amato gli Stati Uniti e il suo mito più di quanto abbia amato l’Europa, che un suo mito non è mai riuscita a costruirlo. Le più potenti fabbriche di miti dell’ultimo secolo, cinema e pop music, non hanno certo favorito l’Europa, che ormai quasi non ha più un suo cinema e una sua musica (e perfino in letteratura e in filosofia è tristemente debilitata). Anche culturalmente, l’Europa era più unita quando non era unita, dal 1945 al 1980. Del resto il Novecento è stato un secolo di sinistre tragedie endoeuropee, un secolo i cui protagonisti politici sono stati la Russia e l’America, con la loro competizione politica e ideologica che ha presto alienato l’Europa da se stessa e dal proprio lungo passato. Per i comunisti la patria era la Russia, per i liberali l’America. Il vero presente novecentesco per gli europei si era spostato a oriente e a occidente, rivoluzione comunista e democrazia americana. Questi due grandi miti novecenteschi hanno fiaccato e svuotato l’autocoscienza politica degli europei. L’“interesse nazionale”, che tuttora significa molto e anche troppo in paesi come gli Stati Uniti e la Russia, la Francia e la Gran Bretagna, non significa niente se riferito all’Unione europea. Questo interesse comune non si è mai né stabilito né consolidato. L’Europa unita è un ideale tanto spesso evocato quanto consumato dal tempo e di fatto pochissimo sentito dagli europei
La drammatica congiuntura storica in cui la migliore cultura europea rifletté a fondo sul destino dell’Europa è quella degli anni Quaranta del secolo scorso, durante e dopo la Seconda guerra mondiale. In testi di eccezionale valore intellettuale come le Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin, La prima radice di Simone Weil, Mimesis di Erich Auerbach, tutto il passato europeo e i suoi fondamenti culturali sono ridiscussi in vista di un futuro da ricostruire interamente. Alla fine di quel decennio comparve il romanzo politico più cupo del Novecento, 1984 di Orwell, in cui totalitarismi e conflitti planetari fra grandi potenze vengono proiettati dal più recente passato a un prossimo mostruoso futuro. E’ in quel clima che venne scritto nel 1941 Il manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi. Era il progetto di un’unione federale europea “preludio” di una federazione mondiale. Nella sua prefazione del 1944 al manifesto, Eugenio Colorni scriveva: “Non ci nascondiamo le difficoltà della cosa, e la potenza delle forze che opereranno nel senso contrario; ma è la prima volta, crediamo, che questo problema si pone sul tappeto della lotta politica, non come un lontano ideale, ma come una impellente, tragica necessità”. Era un ideale di civiltà alimentato in quegli anni dalla disperazione di antifascisti e anticomunisti che avevano visto in atto il potere aggressivo e distruttivo di stati nazionali e di partiti politici che avevano promosso e diffuso idolatrie nazionali e fedi ideologiche che negavano i princìpi di libertà e democrazia su cui si era sviluppata la moderna cultura europea.
Ma quando, dal 1951 in poi, ebbe inizio in Europa occidentale il cammino verso l’integrazione, più che di un ideale politico si trattò di collaborazione economica: Comunità dell’energia atomica (Euratom) e Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca). Atomo, carbone e acciaio venivano prima degli ideali. Oggi abbiamo varie comode facilitazioni burocratiche nella circolazione dei cittadini dell’Unione e abbiamo la moneta unica (che ci ha impoveriti) ma non abbiamo né un esercito unico federale, né un unico sistema fiscale, né una politica estera unica. Le tragedie belliche, gli stermini e i furiosi conflitti politici del Novecento sono ormai eventi remoti. Gli europei di oggi fanno fatica a ricordarli. Non vogliono ricordarli e non riescono a credere che “sovranismi” e “populismi” attuali possano essere l’anticamera di nuove guerre. La realtà che è sotto gli occhi di tutti è comunque la disunione dell’Europa unita e la conseguente assenza di qualunque forma di patriottismo europeo. Il manifesto federalista di Ventotene è lontano dalla testa e dalla vita degli europei non meno dei valori cristiani e della cultura greca. Per fortuna l’Europa non è più tragica. Si accontenta di essere ansiosa, sterile e meschina. Quanto alla cultura di massa, cioè alla cultura più diffusa fra gli elettori europei, l’industria della distrazione ininterrotta e concentrata usa oggi le tecnologie più sofisticate e alla portata di tutti.
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