Pure l'Italia condanna la Cina sui diritti umani, ed è una notizia
La Farnesina si unisce ad almeno altri 22 governi e chiede all’Onu di intervenire sulle detenzioni di massa nella regione dello Xinjiang
Roma. L’Italia ha aderito alla lettera in cui i rappresentanti di almeno altri 22 governi, per lo più occidentali, chiedono all’Onu di intervenire sulle detenzioni di massa da parte della Cina nella regione dello Xinjiang. Lo ha confermato al Foglio la Farnesina. Una prima versione della lettera, datata 8 luglio, era circolata online nei giorni scorsi, ma in calce, tra le firme degli ambasciatori dei paesi membri del Consiglio, non compariva il nome dell’ambasciatore Gian Lorenzo Cornado, rappresentante permanente presso le Organizzazioni internazionali a Ginevra. Il sospetto, circolato tra gli analisti di questioni asiatiche, era che l’Italia, in quanto paese firmatario della Via della Seta, avesse deciso di non prendere una posizione su una questione molto delicata per Pechino. Invece secondo la Farnesina l’adesione verbale di Cornado sarebbe arrivata venerdì, durante l’ultimo giorno della 41esima sessione del Consiglio dei diritti umani, che si è svolto dal 24 giugno al 12 luglio. Probabilmente, oltre all’Italia, anche altri paesi hanno aderito successivamente alla lettera, ma per saperlo bisognerà aspettarne la pubblicazione. Non lo ha fatto e non lo farà l’America, che lo scorso anno è uscita dal Consiglio accusando l’istituzione dell’Onu con base a Ginevra di “ipocrisia” sui diritti umani.
Nella lettera, destinata al presidente del Consiglio Coly Seck e all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet, gli ambasciatori dei paesi firmatari esprimono “preoccupazione” per le “detenzioni arbitrarie”, per la sorveglianza di massa e le restrizioni che “colpiscono particolarmente gli uiguri e altre minoranze nello Xinjiang, in Cina”. Si chiede poi alla Cina di cooperare con il Consiglio per ristabilire la promozione e la protezione dei diritti umani, e che la lettera venga pubblicata tra i documenti ufficiali della sessione del Consiglio. È una mossa importante, un’iniziativa “senza precedenti”, scrive Reuters, anche se, secondo i diplomatici ascoltati da Reuters, “non è stata presentata alcuna dichiarazione formale al Consiglio né è stata proposta una risoluzione da mettere ai voti perché il timore è quello di una reazione politica ed economica da parte della Cina”.
Alcune reazioni in effetti ci sono state. Oltre alle critiche del ministero degli Esteri di Pechino (compreso uno scontro a insulti via Twitter tra Susan Rice, ex consigliere per la Sicurezza nazionale dell’Amministrazione Obama, e il viceambasciatore cinese in Pakistan Zhao Lijian) venerdì gli ambasciatori di 37 paesi dall’Asia fino al medio oriente hanno firmato una contro-lettera in cui lodano le attività cinesi nello Xinjiang e il “contributo della Cina alla causa internazionale dei diritti umani”. Secondo la versione di Pechino, quelli dello Xinjiang sono “campi di rieducazione” dove si combatte l’estremismo islamico. Tra i paesi firmatari ci sono il Pakistan, l’Arabia Saudita – a maggioranza musulmana – ma anche Russia, Corea del nord, Venezuela, Cuba e molti paesi africani. Come spesso accade nei luoghi simbolo della cooperazione e del multilateralismo, emergono anche le contraddizioni di certe istituzioni. Per esempio, durante l’ultimo giorno di assemblea, il Consiglio ha approvato una risoluzione proposta dalla Cina chiamata: “Il contributo dello sviluppo finalizzato al godimento di tutti i diritti umani”, che “riafferma la necessità da parte della comunità internazionale di trattare i diritti umani a livello globale in modo equo”, ha scritto Xinhua. Il 25 giugno l’assemblea ha ospitato Aierken Tuniyazi, vicegovernatore dello Xinjiang, che ha parlato dei “centri di rieducazione” nella sua regione.
La Cina è uno dei 47 membri del Consiglio per i Diritti umani, che ha il potere di votare risoluzioni, e può commissionare indagini e avviare inchieste. I paesi membri sono eletti ogni tre anni dall’Assemblea generale dell’Onu con scrutinio segreto. L’Italia è entrata nel Consiglio per la terza volta nel gennaio del 2019 e ci resterà fino al 2022. La Cina finisce il suo triennio alla fine del 2019.