Da sinistra, Alexandria Ocasio Cortez e Rashida Tlaib (foto LaPresse

Razzista sarai tu

Paola Peduzzi

Trump sente odore di sangue tra i dems e attacca le deputate più radicali: tornate a casa vostra, e scusatevi

Tornatevene nei vostri paesi, ha detto Donald Trump alle ragazze diThe Squad”, chiedete scusa all’America, all’ufficio della presidenza, a Israele, sono tutti arrabbiati con voi, per le vostre “azioni spaventose e disgustose”. Chiedi scusa tu, ha risposto “The Squad”, per il tuo razzismo, per il tuo sessismo, per i campi di concentramento al confine con il Messico, per questo tuo sogno anacronistico e pericoloso di un’America bianca e maschia.

  

“The Squad” indica le quattro deputate elette al Congresso nel 2018 – Alexandria Ocasio-Cortez di New York, Rashida Tlaib del Michigan, Ilhan Omar del Minnesota e Ayanna Pressley del Massachusetts – che non soltanto vorrebbero ribaltare Trump, con qualsiasi mezzo soprattutto con l’impeachment, ma che vogliono anche strappare il Partito democratico dalle mani di un establishment moderato che ha fatto il suo tempo. Giovani, mediatiche, talentuose e molto agguerrite, queste deputate hanno appena avuto una lite con Nancy Pelosi, Speaker del Congresso e guardiana del Partito democratico nella sua versione più centrista, finita malissimo: anche la Pelosi è stata accusata di razzismo dalle sue deputate, dopo che ha detto in un’intervista a Maureen Dowd, del New York Times, che questo gruppo ha molti seguaci sui social ma non seguito nell’elettorato e che forse bisogna smetterla di dare loro tanto spazio e tanto peso nel dibattito.

 

La stessa Dowd, tornando su questo campo minato che è diventato il Partito democratico proprio mentre ci si stava infilando pure Trump (l’assist era invero irresistibile), ha scritto che Ocasio-Cortez “dovrebbe considerare l’ipotesi che chi non è d’accordo con lei non è necessariamente in disaccordo con il colore della sua pelle”. Ma queste distinzioni, spiegazioni, specificazioni sono state travolte da Trump, che sentito l’odore del sangue, ha lanciato l’ennesima tweetstorm, collocando l’America che lui presiede nel proprio campo: gli americani sono arrabbiati con voi, “go back”, il custode dell’americanità ora sono io.

 

L’indignazione del mondo liberal è da due giorni a un nuovo picco, come prevede il copione, non senza ragioni: tendiamo ad abituarci a ogni strappo, ma le parole di un presidente che dice a un gruppo di deputate che non hanno la pelle bianca di andarsi a occupare dei paesi da cui provengono (gli piaccia o no, sono tutte cittadine americane, soltanto la Omar è nata in Somalia ed è diventata cittadina americana nel 2000) invece che rovinare l’America con le loro azioni disgustose hanno una gravità culturale che non andrebbe ignorata. Se c’è qualcosa di antiamericano è proprio dire: tornatene a casa tua. Ma questo presidente ha deciso di non preoccuparsi né dell’indignazione collettiva né tantomeno dei valori che da sempre l’America rappresenta: parla alla sua base elettorale, che ha paura del socialismo incarnato da “The Squad”, che vive l’immigrazione come un’invasione e le minoranze come un corpo estraneo troppo potente. Il Partito repubblicano per lo più tace, qualcuno dice che i toni dovrebbero essere meno brutali, ma la maggior parte si gode lo spettacolo: è il Partito democratico che ha iniziato, di questo passo si troverà debole e diviso, quindi battibile. Ed è questa l’unica cosa che conta.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi