I sostenitori di Trump durante un comizio del presidente (Foto LaPresse)

La nostalgia di Reagan

Così il mondo conservatore americano cerca una legittimità a “send her back”

Paola Peduzzi

 Il pubblico trumpiano ha un nuovo slogan che sa di nazionalismo bianco. La conferenza degli intellettuali a Washington

Roma. “Send her back”, mandatela a casa sua, cantava la folla, “send her back”, le ultime tre parole che danno il ritmo al trumpismo, dopo il “lock her up” degli inizi, rivolto a Hillary Clinton (imprigionatela), e il grande classico, “build the wall”, fate il muro, il mantra per tutte le stagioni. “Send her back” è stata la risposta del pubblico che si è ritrovato mercoledì sera all’East Carolina University di Greenwall quando il presidente americano, Donald Trump, ha detto, parlando degli “ideologi di sinistra che vedono il nostro paese come una forza del male”: “Ho un consiglio per questi estremisti pieni d’odio che cercano costantemente di tirar giù il nostro paese. Non amano il nostro paese. Penso anzi che in alcuni casi lo odino. E allora sapete cosa? Se non lo amano, dite loro di andarsene, fateli andare via”. Gli estremisti pieni d’odio sono quattro deputate democratiche, meglio conosciute come “The Squad”, Alexandria Ocasio-Cortez, Rashida Tlaib, Ayanna Pressley e Ilhan Omar (era con lei che ce l’aveva in quel momento Trump: “Send her back” era per la Omar), che da giorni sono l’obiettivo della retorica trumpiana. Devono tornarsene a casa loro, ripete il presidente, che pure ieri ha detto di non essere d’accordo con “send her back”, ma casa loro è l’America – anche la Omar, l’unica delle quattro a non essere nata sul suolo americano, è cittadina dal 2000 – e quindi il motivo per cui non “appartengono all’America” è che non hanno la pelle bianca. Nazionalismo bianco: da quando il trumpismo è il volto degli Stati Uniti, questa ideologia scandisce la battaglia culturale del paese, al punto che qualche giorno fa Kellyanne Conway, consigliera della Casa Bianca, ha risposto a un giornalista che le chiedeva conto delle parole del presidente: “Ma tu di che etnia sei?”. Ora questa è una domanda plausibile.

  

Tucker Carlson alla National Conservatism Conference


 

Il Partito repubblicano, che ha smesso di combattere Trump, è un po’ indignato e un po’ preoccupato, ma senza enfasi. Alcuni intellettuali conservatori si interrogano su come passerà alla storia una compagine politica che ha deciso di assecondare l’istinto “bianco” della cosiddetta pancia americana, e trovano soltanto risposte impietose: “Quando tutto ciò sarà finito, nessuno oserà nemmeno ammettere di aver sostenuto questa roba”, ha scritto David Frum. Ma molta parte dei conservatori sta perlustrando avida la strada della legittimazione intellettuale del nazionalismo bianco. Al Ritz-Carlton di Washington, si è svolta la National Conservatism Conference, in cui si sono incontrati esponenti di diverse filosofie interne al mondo conservatore: l’incontro esemplificativo è stato quello tra John Bolton, consigliere per la Sicurezza nazionale superinterventista, e Tucker Carlson, anchorman di Fox News è contro gli interventi e a favore dell’appeasement con i dittatori: quando il presidente americano ha superato il confine nordcoreano e ha stretto la mano a Kim Jong Un, Carlson era nella delegazione, mentre Bolton era stato spedito in Mongolia. Le divisioni tradizionali sono state liquidate in fretta, così come il “presunto razzismo” di Trump: “E’ un argomento così noioso – ha detto Carlson – Senza prospettive. Non può essere risolto, non può essere cambiato”. Quel che si è cercato di trovare, in questo consesso, è stata una definizione della ideologia che vuole compattare il conservatorismo attuale: il nazionalismo. C’è chi ci mette più bianco e chi meno, ma ecco: è nazionalismo bianco.

 

Così anche riascoltare Ronald Reagan, regista di una delle stagioni più entusiasmanti del conservatorismo americano, è diventato un mestiere da nostalgici, o da antitrumpiani o addirittura da liberal, paradosso assoluto. Ma una frase dell’ultimo discorso dell’ex presidente risuona oggi come un contraltare del “send her back” del popolo trumpiano, la dimostrazione che certi istinti vanno governati e non assecondati, è per questo che eleggiamo i nostri leader: per migliorarci. La frase è questa: “Guidiamo il mondo perché, unici fra tutte le nazioni, riceviamo forza da ogni paese e da ogni angolo del mondo. Se chiudessimo la porta a nuovi americani, la nostra leadership nel mondo andrebbe perduta”. Reagan, un noto ideologo di sinistra, estremista pieno d’odio. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi