"Il fronte anti Brexit può battere Johnson"
Tom Brake (Lib-dem) ci spiega perché l'alleanza europeista (con o senza Corbyn) ha un grande futuro
Roma. “Noi dei Lib-dem siamo gli unici che hanno una posizione netta sulla Brexit. Il Labour non ha una linea, i conservatori ce l’hanno ma non l’hanno messa in pratica. Il Brexit Party propone una cosa folle, e finora sta avendo successo”. La nomina di Boris Johnson come leader dei conservatori e premier del Regno Unito polarizzerà ancora di più il dibattito sulla Brexit e Tom Brake, deputato di lungo corso dei Lib-dem, rivendica, parlando con il Foglio, di averlo capito prima degli altri. Il suo partito è davanti al Labour nei sondaggi e guida un fronte europeista di cui fanno parte i Verdi e gli indipendentisti gallesi di Plaid Cymru. “Sperimenteremo questa alleanza nel seggio di Brecon and Radnorshire in Galles, dove gli altri due partiti hanno deciso di sostenere un nostro candidato, che ha buone possibilità di vittoria. Sarà possibile riproporre questa formula a livello nazionale anche se Verdi e indipendentisti gallesi saranno meno predisposti a fare un passo indietro e sostenere un candidato Lib-dem nei seggi dove sono più radicati”. Il Labour farà mai parte di questa alleanza? Jo Swinson, la nuova leader dei liberali, lo ha escluso. Eppure, i laburisti si sono mano mano avvicinati alle posizioni dei Lib-dem sulla Brexit, e Jeremy Corbyn recentemente ha promesso di sostenere il remain in un ipotetico secondo referendum. Dalle parole di Tom Brake, che è anche il responsabile dei Lib-dem per la Brexit, trapela molta diffidenza verso il leader del Labour. “Non ci fidiamo di Jeremy Corbyn – spiega il deputato – Ha un atteggiamento vago e ambiguo sulla Brexit, ed è influenzato da una cricca di consiglieri”, un’allusione a Seumas Milne e Andrew Murray, i due potenti spin doctor di Corbyn euroscettici e ostili al People’s Vote.
Tom Brake con l'ex leader dei Lib-dem Nick Clegg (Foto LaPresse)
Tuttavia Brake sembra molto più ben disposto della Swinson verso i laburisti. “Se Corbyn dovesse rendere esplicito il sostegno al secondo referendum in tutte le circostanze (si è rifiutato di prometterlo in un’elezione generale, ndr), allora l’alleanza potrebbe estendersi anche al suo partito”. I laburisti e i liberali pescano dallo stesso elettorato in molte aree geografiche, e marciare divisi potrebbe essere un regalo ai conservatori. “Nei seggi in cui siamo più radicati i nostri maggiori avversari sono i conservatori, non i laburisti – spiega Brake – Quindi potrebbe esserci un tacito accordo con il Labour: loro si concentrano e investono le risorse nei seggi in cui sono più forti e in cui hanno maggiori possibilità di battere i Tory. Questa non sarebbe un’alleanza formale, come quella che stiamo costruendo con i gallesi e con i Verdi. Ovviamente in Gran Bretagna le coalizioni si fanno in Parlamento dopo il voto, e non prima. Ma è molto difficile trovare un’intesa formale con il Labour prima delle elezioni, e il problema non siamo noi ma loro. Il partito di Corbyn ha un atteggiamento tribale, è poco incline al compromesso, molto meno dei conservatori che hanno tratto vantaggio dall’esperienza della colazione. Oltre la Brexit, il nostro partito è distante anni luce dalle politiche economiche e sociali di Corbyn, così come non ha nulla in comune con il Partito conservatore di Boris Johnson, che reputo un nazionalista”.
Tom Brake crede che l’entusiasmo per la vittoria di Johnson alle primarie dei Tory sia destinato a durare poco. “Il Parlamento farà di tutto per bloccare l’uscita dall’Unione europea senza accordo e, a quel punto, Johnson dovrà scegliere un piano B, anche se ogni soluzione comporta degli enormi rischi”. Le elezioni generali sono più probabili di un secondo referendum? “Probabilmente lo sono, ma pongono un grande dilemma per Johnson: che rapporti intende avere con il Brexit Party? La concorrenza di Farage può far perdere molti voti ai conservatori, e Johnson avrà la tentazione di stipulare un accordo informale con il leader euroscettico. Questo gli costerà i voti dei moderati conservatori che temono una deriva estremista del loro partito”. I Tory sono in subbuglio e molti membri del governo May, tra cui il ministro dell’Economia Philip Hammond, hanno annunciato le loro dimissioni pur di non fare parte dell’esecutivo di Johnson. “È una buona notizia per noi, e spero di poter unire le forze in Parlamento per fermare il no deal, che sarebbe un disastro per il paese. Parlando con i conservatori dimissionari, che finalmente sono liberi da ogni vincolo, ho notato con piacere che sono diventati molto più critici nei confronti del no deal. Questo avrà un effetto domino su tutto il gruppo parlamentare. Se il tuo collega di partito diventa più schietto, è possibile che anche tu lo diventerai, e così via”.
I conservatori moderati che si sono appena dimessi possono diventare alleati nella campagna per il People’s Vote? “Non ne sono sicuro, molti conservatori sono europeisti ma scettici sulle possibilità di un secondo referendum e penso che continueranno a esserlo anche adesso che non fanno parte del governo. Tuttavia l’ipotesi del People’s Vote potrebbe tentare Boris Johnson. Se il premier si renderà conto che le elezioni generali sono troppo complicate, per le ragioni che ho spiegato, potrebbe ripiegare su un secondo referendum con due opzioni: restare nell’Ue o uscire senza accordo”. I Lib-dem sono identificati come il partito degli antiBrexit e questo gli ha consentito di rinascere dopo un lungo oblio. Ma tutta questa enfasi su un solo argomento rende il consenso dei liberali molto fragile. Di cosa parlerete quando non ci sarà più la Brexit? “Il rischio esiste, e una volta finita la Brexit il nostro partito dovrà riflettere su altri temi, che al momento sono assenti dal nostro programma. Però comunque vadano le cose nei prossimi mesi, è probabile che l’uscita dall’Ue resti l’argomento più importante per molto tempo. Se dovessimo uscire con un accordo, trascorreremo i prossimi anni a negoziare i nostri rapporti futuri con l’Ue, e lo stesso avverrà in caso di no deal”.