Il turismo come arma (politica) di boicottaggio di massa. Il metodo cinese
Pechino vieta i viaggi a Taiwan, Corea e Giappone ai ferri corti
Roma. Il turismo può essere un’arma politica. Ce lo ha insegnato soprattutto Pechino, che in vari periodi della storia contemporanea ha esercitato il suo potere di influenzare e dirottare il turismo cinese a seconda della situazione diplomatica che il governo aveva con il paese di destinazione. Funziona così quando il governo di Pechino promuove una nuova mèta turistica per questioni politiche – è successo per l’Italia, dopo la firma del memorandum d’intesa sulla Via della Seta e la rinnovata “amicizia” con il nostro paese – ma può succedere anche il contrario. L’altro ieri la Cina ha sospeso le autorizzazioni che permettevano ai cittadini di 47 diverse città cinesi di viaggiare individualmente per turismo a Taiwan, un paese considerato da Pechino parte integrante del suo territorio. Le tensioni tra il governo cinese e quello di Taipei continuano ad aumentare, soprattutto in vista delle elezioni presidenziali che si terranno a Taiwan a gennaio prossimo e la situazione critica a Hong Kong. Ieri la presidente taiwanese Tsai Ing-wen ha detto che “usare i turisti come arma politica serve solo ad aumentare le tensioni tra i cittadini”, e che comunque “il turismo non dovrebbe essere politicizzato”.
Un’altra grave crisi diplomatica in queste settimane si sta consumando tra Corea del sud e Giappone, per questioni legate al passato coloniale giapponese: per la prima volta, la reazione del governo di Tokyo ha colpito il business, con misure restrittive sulle esportazioni verso la Corea del sud, specialmente di prodotti hi-tech, in una specie di trade war modello Trump. I sudcoreani hanno a loro volta reagito con il boicottaggio dei prodotti giapponesi ma anche con un blocco del turismo. Solo nel mese di luglio il numero di prenotazioni di viaggi in Giappone nelle agenzie turistiche coreane si è ridotto quasi del 60 per cento. Ieri il Korea Times scriveva che una clinica di chirurgia plastica a Gangnam, a Seul, fa uno sconto del 50 per cento sulla blefaroplastica (l’intervento più diffuso in Corea del sud) per chi dimostri di aver annullato il proprio viaggio in Giappone. Eppure la Corea del sud a sua volta, e non molto tempo fa, ha subìto lo stesso trattamento da parte dei cinesi, che ha avuto effetti concreti sull’economia: il quartiere cinese della capitale sudcoreana in quel periodo, solitamente affollato da consumatori cinesi, era praticamente vuoto, e i negozianti preoccupati.
“Nel 2017 il dispiegamento del sistema missilistico Thaad in Corea del sud ha allarmato non poco la Cina”, dice al Foglio Andrea Fischetti, ricercatore dell’Università di Tokyo. “In quel caso però Pechino ha reagito utilizzando una nuova arma: il turismo”. Nei mesi successivi all’istallazione dello scudo antimissile americano su territorio sudcoreano, il numero di turisti cinesi in Corea del sud si è ridotto del 40 per cento. Allora, spiega Fischetti, “il governo cinese minacciò di sanzionare le agenzie di viaggi sulla vendita di pacchetti turistici per la Corea. Si è rivelata una strategia efficace, e facilmente eseguibile, anche considerando che molte delle più grandi agenzie turistiche in Cina sono di proprietà statale”. Pechino ha utilizzato lo stesso metodo di restrizioni del turismo anche nel caso di Palau, durante la crisi diplomatica con la paradisiaca isola del Pacifico dello scorso anno, e da oggi anche contro Taiwan. Spiega Fischetti: “Sono provvedimenti che possono portare a considerevoli danni economici per i paesi colpiti, ma sul lungo termine nulla è certo. I turisti cinesi che viaggiano all’estero, generalmente giovani, si aspettano una maggiore libertà e indipendenza anche considerando le maggiori possibilità economiche della loro generazione in confronto a quelle precedenti. Un indice di questo trend è il crescente numero di turisti cinesi indipendenti, a discapito delle compagnie turistiche che organizzano i viaggi di gruppo approvati dal governo. Per questo motivo, Pechino potrebbe incontrare difficoltà, e un crescente discontento, qualora decidesse di continuare a utilizzare i propri turisti come arma economica”. C’è una differenza però con il boicottaggio dei sudcoreani nei confronti del Giappone: “Innanzitutto, la perdita economica che il mancato turismo coreano può causare in Giappone non è paragonabile all’impatto che le restrizioni del turismo cinese hanno in Corea del sud, Palau, o Taiwan”, dice Fischetti. Ma c’è anche un aspetto sociale differente: “Il governo sudcoreano non ha ufficialmente proibito o multato i viaggi verso il Sol Levante. Sono stati gli stessi coreani invece, a boicottare compagnie giapponesi che operano in Corea del sud, a rinunciare all’acquisto di prodotti giapponesi, o ai viaggi in Giappone. Le dispute storiche tra i due paesi e la percezione del pubblico della sempre più fredda diplomazia tra Tokyo e Seul infatti, hanno più volte spinto i cittadini coreano a prendere misure ‘anti-Giappone’, come in questo caso”.
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