Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov nel 1987 (foto LaPresse)

Non è colpa di Trump se il trattato sui missili del 1987 è decaduto

Andrea Gilli e Mauro Gilli

Sono state le violazioni della Russia a determinare la fine dell’Intermediate-range nuclear forces. La Nato e gli scenari

Venerdì 2 agosto è formalmente decaduto il trattato Inf (Intermediate-range nuclear forces), il trattato firmato nel 1987 e che mette(va) al bando i missili terra-terra con un raggio tra i 500 e i mille chilometri (corto raggio) e quelli tra i mille e i 5.500 chilometri (raggio intermedio) tra gli Stati Uniti e l’allora Unione sovietica – oggi Federazione russa. Questo risultato è, formalmente, dovuto al ritiro degli Stati Uniti. Fattualmente, però, questa decisione, presa dall’Amministrazione Trump, è il prodotto delle violazioni russe. Se guardiamo alle reazioni osservate in Italia, e anche in Europa, è evidente come nel dibattito pubblico, ma anche tra gli esperti, ciò non sia molto chiaro e soprattutto non vengano del tutto comprese le conseguenze. La decisione americana è stata infatti letta principalmente in due modi. Da una parte, ci sono quelli che vedono la presidenza Trump come la causa di ogni crisi internazionale. Quindi la sua presunta allergia all’ordine liberale internazionale avrebbe portato all’abbandono del trattato. Dall’altra, ci sono i simpatizzanti della Russia e del putinismo, che invece vedono nella mossa l’ennesima prova dell’accerchiamento a cui la Russia sarebbe soggetta.

  

La Russia ha già perso una Guerra fredda per una corsa agli armamenti. Economicamente e tecnologicamente, è destinata a perderne un’altra.
Nel breve periodo, però, ci sono altri rischi che riguardano piuttosto un’escalation. Il prossimo trattato missilistico
dovrà coinvolgere anche la Cina

  

Facciamo un po’ di chiarezza. La Russia nel 2007 ha lanciato un attacco cyber contro l’Estonia e ha abbandonato il trattato Cfe (Conventional Armed Forces in Europe, poi sospeso nel 2015). Nel 2008 ha attaccato la Georgia. A partire dal 2010 ha aumentato esponenzialmente le già inaccettabili violazioni dello spazio aereo dei Paesi baltici. Nel 2013 ha simulato un attacco nucleare contro Stoccolma (la Svezia non è un membro della Nato). Nel 2014 ha invaso la Crimea e sostenuto un’insorgenza nell’est dell’Ucraina. Nel 2015, sempre Mosca ha minacciato di usare armi nucleari contro Danimarca e Polonia. Nel 2016 la Russia ha interferito con le elezioni americane e cercato di favorire un golpe in Montenegro – paese in procinto di entrare nella Nato.

 

Tutto ciò con il trattato Inf c’entra – in maniera diretta – relativamente poco, ma certo aiuta a capire il contesto. Perché proprio mentre la Russia si muoveva come descritto, questa iniziava a metà anni Duemila – segretamente e in violazione del trattato – anche a sviluppare il missile 9M729 (anche noto come SSC-X-8, nella sua fase sperimentale) che veniva poi testato nel 2014 (l’anno dell’attacco alla Crimea) e nel 2015.

 

Già l’Amministrazione Obama era al corrente delle violazioni russe e non uscì dal trattato Inf, secondo più di una voce che faceva parte di quell’amministrazione, per una semplice ragione: si pensava che ci avrebbe pensato l’Amministrazione Clinton. Qui arriviamo alla decisione dell’Amministrazione Trump. E’ ovvio che un trattato bilaterale è non solo inutile ma anche controproducente se violato da una delle due parti, in quanto lega le mani alla parte ottemperante (John Nash ci vinse un premio Nobel su questi temi). Nonostante gli accordi e i trattati internazionali siano centrali per la sicurezza e la stabilità globale, non si può fare molto quando una delle due parti non solo non vuole ottemperare ai suoi obblighi ma li viola palesemente e intenzionalmente. Per questo, la Nato – come ha dichiarato il suo Segretario Generale venerdì scorso – si è schierata con il diritto internazionale: è stato dato tempo alla Russia di rientrare nel trattato ma, constatata l’assenza di volontà al dialogo, si è deciso di rafforzare la postura di deterrenza.

 

Cosa significa tutto ciò e quanto dobbiamo essere preoccupati? La Russia ha già perso una Guerra fredda per una corsa agli armamenti. Economicamente e tecnologicamente, è realisticamente destinata a perderne un’altra. Nel breve periodo, però, ci sono altri (e maggiori) rischi, che non riguardano tanto la corsa alle armi, ma piuttosto un’escalation. La strategia nucleare russa è molto più aggressiva di qualsiasi altro membro della Nato, in quanto unisce armi convenzionali e nucleari. Ciò pone un’enorme sfida politica: non è inverosimile che la Russia possa prepararsi, al momento giusto, a un attacco lampo contro un paese Nato per poi sfoderare la minaccia nucleare non appena stia per iniziare la controffensiva. In questa maniera, lo status quo post-invasione verrebbe congelato (a favore della Russia) mettendo in crisi, politica e diplomatica, tanto la Nato che, eventualmente, l’Ue (se il paese sotto attacco fosse anche suo membro). Detto in altri termini, dispiegando strategicamente il missile con capacità nucleari in determinate aree (tra cui l’enclave di Kaliningrad), la Russia – in via tutt’altro che solo ipotetica – costringerebbe le forze Nato ad un’escalation, nella speranza che questo rischio finisca per dissuadere i suoi membri dal lanciare una risposta.

 

La reazione americana, prima, e della Nato, dopo, cerca di neutralizzare proprio questo scenario. Ci sono due considerazioni finali. Chi, in Europa, chiede agli Stati Uniti si tornare nel trattato Inf non sembra aver molto compreso le dinamiche in gioco. Chi è in violazione del trattato è la Russia. Senza una proposta operativa e un’iniziativa politica che riesca a fare rientrare la Russia nei dettami dell’Inf, le critiche all’Amministrazione americana sono abbastanza discutibili (un membro importante dell’Ue e della Nato ci ha provato, nei mesi scorsi, ma ha fallito: segno che la Russia non cerca il dialogo). Non va altresì ignorato che almeno in alcuni ambienti degli Stati Uniti non ci sia molta delusione per questo risultato. A partire dall’inizio degli anni Duemila, numerosi studi e ricerche condotte da varie agenzie governative e non hanno infatti suggerito al governo degli Stati Uniti di ritirarsi dal trattato Inf. La ragione? Poter dispiegare missili terra-terra a raggio intermedio in Asia e così meglio contrastare l’aggressività e l’espansione cinese. Ciò significa che, da una parte, un nuovo trattato Inf dovrà necessariamente coinvolgere anche la Cina. Dall’altra, spesso si loda Vladimir Putin per le sue apparenti doti di fine stratega. Bisognerebbe chiedere a Pechino cosa ne pensa a proposito. E’ lecito pensare che, almeno in questo caso, abbiano un’idea differente.

 

Andrea Gilli, Senior Researcher al NATO Defense College e Ricercatore Aggiunto a Stanford University

Mauro Gilli, Senior Researcher ETH-Zurich

 

(Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono le posizioni ufficiali della Nato, del Nato Defense College o qualsiasi altra istituzione con cui gli autori sono associati)