Manifestanti protestano contro la visita del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sul luogo della sparatoria di massa a Dayton (foto LaPresse)

Certezze che crollano

Daniele Raineri

In America la Nra è sempre meno forte e perde pezzi. Anche i sondaggi su Donald Trump riservano sorprese

Roma. Due certezze americane stanno venendo meno. Una è l’intoccabilità della National Rifle Association (Nra), la lobby delle armi da fuoco in America, l’altra è l’illusione che l’indice di approvazione del presidente Donald Trump non possa salire: invece succede. Andiamo con ordine. La Nra per il suo posizionamento fortissimo è considerata una delle organizzazioni più potenti e ricche del paese ed è in grado di condizionare con i suoi cinque milioni di iscritti la politica dal livello locale a quello nazionale. Per molti anni è riuscita a tenere testa alla marea montante di voci critiche che chiedono regole più stringenti sulla vendita di armi dopo le stragi – che sono molto frequenti e sono compiute con modelli di fucili molto simili a quelli usati dai soldati in guerra (simili, non uguali). Quest’anno però l’intoccabilità dell’Nra sta sparendo. Prima sono arrivati i guai giudiziari legati allo scandalo russo, quando si è scoperto che molti dirigenti dell’associazione avevano avuto contatti stretti con Maria Butina, una donna russa che lavorava – senza averlo dichiarato – per conto del governo russo e che è stata condannata ed espulsa dagli Stati Uniti. Butina aveva preso di mira la Nra per avere accesso ai politici repubblicani. Poi sono arrivati i litigi interni. L’attuale presidente, Wayne LaPierre, ha rimpiazzato Oliver North (conosciuto per lo scandalo Iran - Contra) dopo che North è stato cacciato perché stava cercando di stroncare LaPierre con false accuse di molestie sessuali e di manovre finanziare poco pulite. Christopher Cox, che era il più abile dell’associazione a tenere i contatti con la politica di Washington, ha abbandonato e la settimana scorsa anche altri tre membri del consiglio di amministrazione si sono dimessi perché non riescono a ottenere risposte su alcuni ammanchi (non si sa che fine abbiano fatto quaranta milioni di dollari).

 

L’agenzia pubblicitaria che da anni segue la Nra e che ha prodotto le campagne più efficaci in questo momento ha una causa legale aperta con l’associazione e molti iscritti minacciano di non pagare più la quota annuale di 45 dollari e di passare a qualche gruppo rivale. La lobby ha speso una cifra record, trenta milioni di dollari, per sostenere il candidato Donald Trump nel 2016, ma per paradosso il fatto che ci sia Trump alla Casa Bianca allontana il pericolo di eventuali leggi restrittive sulle armi e quindi non è di aiuto, i sostenitori sono freddi e non si mobilitano.

 

Ieri è saltato fuori che la madre dello sparatore che sabato scorso ha ucciso venti persone in un Walmart di El Paso, in Texas, era andata dalla polizia qualche settimana fa per dire che era molto preoccupata dal fatto che suo figlio avesse comprato un fucile simil AK-47 ma la polizia le aveva risposto che non poteva fare nulla. Due senatori, il democratico Richard Blumenthal e il repubblicano Lindsey Graham, stanno scrivendo una legge che permetterebbe a famigliari e polizia di chiedere a un giudice un provvedimento emergenziale per togliere le armi a un individuo considerato pericoloso e alcuni la chiamano legge “red-flags”, dove le bandiere rosse sarebbero i sintomi di pericolosità dell’individuo. Sarebbe stata una legge utile per bloccare lo stragista di El Paso. La Nra si è detta d’accordo a livello nazionale, ma a livello locale ha battagliato contro leggi simili e ci sono associazioni rivali che approfittano del momento per proporsi come le vere protettrici dei diritti civili degli americani.

 

Per quanto questa crisi sia senza precedenti per l’associazione, se dopo il 2020 si andasse davvero verso leggi restrittive è probabile che la Nra ritroverebbe il sostegno fortissimo della sua base. L’attaccamento alle armi è una forza politica formidabile.

 

L’altra certezza che viene meno è l’idea che Trump da presidente non sia riuscito ad attrarre altri americani, se non quelli fedelissimi che già l’hanno votato nel 2016. In realtà, i dati pubblicati dal New York Times due giorni fa mostrano che moltissimi americani a cui Trump non piaceva nel 2016 ora sono diventati suoi sostenitori, in particolare tra i conservatori scettici. Il 28 per cento dei repubblicani che si dichiarava contro Trump ora ha cambiato idea e sta con il presidente. L’indice di gradimento che nel 2016 era al 34 per cento adesso è al 44 per cento. Non sono numeri che bastano per una rielezione, ma l’idea che Trump da presidente non abbia convinto una fetta bella spessa di americani è un mito.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)