Mollare Kabul?
Gli analisti s’accapigliano sull’Isis in Afghanistan: è così pericoloso? Quelli fanno 63 morti nella capitale
Roma. Sabato c’è stato un attentato molto grave a Kabul, capitale dell’Afghanistan, e la notizia come spiegheremo c’entra molto con i negoziati di pace tra gli americani e i guerriglieri talebani. L’attacco è stato eseguito alle dieci e mezza di sera dallo Stato islamico secondo una tecnica già usata altre volte: un attentatore si è infilato con una carica esplosiva piena di pezzi di metallo in una sala da cerimonie dove centinaia di invitati – musulmani di religione sciita, quindi considerati eretici dallo Stato islamico – festeggiavano un matrimonio e si è fatto saltare in aria. Quando la gente è uscita dall’edificio e i soccorsi sono arrivati lo Stato islamico ha fatto esplodere una seconda bomba nascosta in un’automobile parcheggiata davanti al cancello d’ingresso. In totale sono morte 63 persone e i feriti sono centinaia. Lo Stato islamico ha circa tremila uomini in Afghanistan ed è nemico sia dei talebani sia degli americani. Il giorno dopo ha rivendicato l’attacco a Kabul e ha pubblicato una foto a volto coperto dello stragista, che aveva il nom de guerre di “Abu Asi al Pakistani” – quindi una persona venuta dal Pakistan, a sud del paese. Questo conferma una tendenza pericolosa, l’asse delle operazioni del gruppo si sposta verso est, verso i paesi asiatici, come già dimostrato dagli attacchi di aprile alle chiese in Sri Lanka.
Tra i particolari della strage uno è significativo perché spiega quanto la capitale dell’Afghanistan è vulnerabile agli attentati dello Stato islamico. La madre della sposa aveva chiesto alla coppia di spostare la data del matrimonio a dopo lunedì 18 agosto, perché era il giorno in cui si festeggia il centenario dell’indipendenza dell’Afghanistan. Il ragionamento della madre era semplice: se lo Stato islamico aveva pronto qualche attentatore suicida nascosto nella capitale e in attesa di colpire, era meglio aspettare che si lanciasse contro i festeggiamenti per l’indipendenza invece che offrirgli come possibile bersaglio un matrimonio sciita con centinaia di invitati. Lasciamo che lo Stato islamico consumi la sua riserva attuale di suicidi contro qualcun altro. Ma il mese prossimo, le era stato risposto, c’è la festa sciita dell’Ashura che a Kabul è un altro possibile giorno rischioso e non si può sempre stare nascosti. Il clima è questo: gli abitanti della capitale afghana sanno che c’è una successione inevitabile di attacchi dello Stato islamico e che la città è esposta.
Questa situazione ci porta ai negoziati tra americani e talebani in corso a Doha. Il capo negoziatore americano, Zalmay Khalilzad, ha ricevuto dal presidente Donald Trump un mandato chiaro: “end the endless war”, metti fine alla guerra senza fine e riporta a casa i soldati americani. Si sa che l’Amministrazione americana è già pronta a ritirare la metà dei quattordicimila militari americani in Afghanistan a partire da settembre – da domani in pratica – ma ci sono voci contrarie che sostengono che in questo modo gli americani di fatto consegneranno il paese ai talebani, perché senza i soldati americani le forze del governo centrale non potranno resistere ai guerriglieri (per esempio una di queste voci è quella dell’ex generale David Petraeus, ex comandante dei soldati americani in Iraq e in Afghanistan). Già adesso, con gli americani ancora presenti, i soldati afghani hanno perso più di metà dei distretti del paese. Gli americani non hanno ruoli di combattimento, ma tengono coese le forze afghane, le addestrano e soprattutto dirigono i bombardamenti aerei.
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In teoria il negoziato prevede che i talebani un giorno governeranno a Kabul assieme al governo attuale e già questa è un’illusione. In occidente abbiamo imparato che “talebani” vuol dire fanatici che non scendono a compromessi, non si vede perché i talebani dovrebbero trasformarsi in talebani-ma-illuminati o talebani light. Si capisce benissimo invece perché i talebani tengono molto alla ritirata completa degli americani il prima possibile. Un altro punto del negoziato prevede che i talebani agiranno come la nuova forza antiterrorismo contro al Qaida e contro lo Stato islamico. Come questa boutade possa essere spacciata davvero per una linea politica è un mistero. Gli americani invasero l’Afghanistan nell’ottobre 2001 proprio perché i talebani si rifiutarono di rompere i loro legami con al Qaida dopo l’11 settembre, è difficile credere che li romperanno ora che i soldati se ne vanno. Per quel che riguarda lo Stato islamico, i talebani sono acerrimi nemici dei guerriglieri di Abu Bakr al Baghdadi perché ci sono differenze ideologiche, ma non si vede perché i talebani da soli dovrebbero essere più efficienti nella campagna contro di loro. Oggi che in Afghanistan ci sono talebani, soldati americani e governo afghano lo Stato islamico riesce a fare attentati a Kabul ma siamo chiamati a credere che quando gli americani – e gli aerei, gli elicotteri, l’intelligence – se ne andranno allora la situazione migliorerà.
Secondo il New York Times c’è un dibattito aspro tra intelligence e Pentagono a proposito dello Stato islamico in Afghanistan (che spesso è indicato con la sigla ISK, dove la K sta per Khorasan, antico nome arabo dell’area). L’intelligence sostiene che il gruppo terrorista non è in grado di lanciare attacchi in occidente, il Pentagono sostiene che invece può e che è più pericoloso di quanto pensa l’intelligence. A parte che per lanciare un attacco in occidente non è necessario controllare un pezzo esteso di territorio, la tesi del Pentagono suona come la più solida. Alla fine di luglio un rapporto delle Nazioni Unite ha rivelato un’informazione molto interessante: una delegazione di leader dello Stato islamico centrale – quindi da Iraq e Siria – ad aprile è andata in Afghanistan e ha degradato il capo locale, Abu Omar al Khorasani, a causa del suo rendimento insufficiente e lo ha rimpiazzato con un altro capo, Mawlawi Abdullah. Questo vuol dire che la divisione afghana è una delle poche ad avere rapporti diretti, fisicamente, con lo Stato islamico di Abu Bakr al Baghdadi. Molti esperti, per esempio l’italiano Antonio Giustozzi, autore di libri specialistici sulla materia, ritengono che lo Stato islamico invii molto denaro alla sua filiale afghana.
Una nota finale. Rakhmat Avilov, l’uzbeko che nell’aprile 2017 investì cinque persone a Stoccolma in Svezia in nome dello Stato islamico agì con tutta probabilità su istigazione di un emiro dello Stato islamico in Afghanistan. Nell’attentato morì anche una bambina di undici anni. La morte di quella bambina a Stoccolma fu l’episodio che ispirò lo stragista che a marzo 2019 è entrato in una moschea di Cristenchurch in Nuova Zelanda e ha ucciso cinquanta persone. Il mondo come sappiamo da tempo è troppo interconnesso per fingere che offrire spazio di manovra allo Stato islamico in un luogo come l’Afghanistan non avrà conseguenze altrove.
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