La guerra allargata
Ora Israele rinuncia al principio dell’ambiguità strategica e bombarda l’Iraq “da dentro l’Iraq”
Roma. Due fonti del governo americano confermano al New York Times che Israele bombarda basi delle milizie sciite dentro l’Iraq. A dispetto del fatto che tutti davano già per scontato che fosse proprio Israele il misterioso esecutore dei bombardamenti cominciati il 19 luglio, questa conferma è molto interessante per almeno due motivi. Il primo è che nel testo della conferma si legge che l’attacco di esordio – poi ne sono seguiti altri tre, uno persino nella capitale Baghdad – è stato compiuto “a partire da dentro l’Iraq”. Ora, le milizie sciite hanno accusato gli americani di avere fatto entrare in Iraq quattro droni israeliani che erano stati prima spostati in Azerbaijan (l’Azerbaijan ha rapporti militari e commerciali con Israele). Sono stati quei droni, dicono, a bombardare le nostre le basi. Poi le milizie hanno accusato gli israeliani di avere usato per i bombardamenti alcuni loro aerei decollati dalla base di Ayn al Asad, l’enorme aeroporto militare controllato dagli americani nella zona di Anbar, nell’ovest dell’Iraq. E’ la stessa base che il presidente americano, Donald Trump visitò a Natale 2018 e undici anni prima era stata lo sfondo per un incontro tra l’allora presidente George W. Bush e le milizie irachene (quelle erano sunnite però) che in quel periodo combattevano contro lo Stato islamico in Iraq. E’ un luogo chiave della presenza americana in Iraq e prestarlo agli israeliani suonerebbe come una provocazione.
E infatti si tratta di accuse poco credibili che arrivano dalle stesse milizie che hanno tutto l’interesse a provocare un incidente diplomatico con gli americani e a farli uscire dal paese. Se questa è la situazione, cosa vuol dire allora quel passaggio: “Dall’interno del paese”? Gli israeliani sono forse decollati da qualche pista nel Kurdistan iracheno, dove il controllo del governo centrale è minore? E perché lo hanno fatto soltanto per il primo dei quattro attacchi? C’è da tenere presente che gli israeliani hanno i bombardieri F-35, che sono invisibili ai radar iracheni e quindi non ci sarebbe bisogno di questa complicazione. Intanto il governo iracheno ha vietato qualsiasi volo della Coalizione internazionale se prima non c’è una sua autorizzazione, nella speranza di riuscire così a isolare eventuali movimenti sospetti dentro lo spazio aereo.
La seconda cosa interessante è che Israele sta rinunciando al concetto dell’ambiguità strategica. Da sempre Israele compie operazioni militari all’estero se le considera necessarie alla sicurezza nazionale ma quasi sempre non le rivendica per non sovraeccitare la situazione politica nel quadrante mediorientale, già molto difficile. E’ l’ambiguità strategica: si sa che sono stati gli israeliani ma loro non confermano e quindi i governi colpiti possono ignorare i fatti. Giovedì però il premier israeliano Benjamin Netanyahu durante un’intervista alla tv Channel 9 ha risposto che “l’Iran non gode di immunità in nessun luogo del mondo” e che “faremo, anzi stiamo già facendo, tutto quanto è in nostro potere” per smontare il piano di aggressione da parte dell’Iran. La domanda era sui bombardamenti non rivendicati in Iraq. Netanyahu in pratica ha risposto: siamo stati noi.
Gli attacchi israeliani hanno colpito alcuni depositi militari nella fascia centrale dell’Iraq che le milizie sciite usano per trasferire missili iraniani dall’Iran alla Siria, in grossi container che si muovono via terra da est a ovest. Quando saranno in Siria i missili potranno essere usati per colpire il territorio israeliano e se il loro numero sarà sufficiente potrebbero saturare e bucare le difese missilistiche israeliane, che proteggono il paese da nord a sud come un ombrello gigantesco ma non sono in grado di intercettare un numero infinito di lanci. I missili trasferiti via terra attraverso l’Iraq hanno una gittata di circa duecento chilometri e questo vuol dire che se fossero lanciati dalla zona del Golan potrebbero raggiungere Tel Aviv.