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L'AfD deve decidere se andare ancora più a destra o fermarsi

Daniel Mosseri

Prima del voto in Sassonia e Brandeburgo nella Cdu c’è chi pensa a un’alleanza con il partito Alternative für Deutschland

Berlino. E se dopo il Muro di Berlino crollasse pure quello di Dresda? La capitale della Sassonia in anni recenti ha attratto l’attenzione dei media per aver dato i natali a Pegida, il movimento xenofobo dei sedicenti “Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente”. Meno scomposta e urlata ma parimenti antisistema e xenofoba è AfD, quell’Alternative für Deutschland che, sondaggi alla mano, si accinge a vincere le elezioni in Sassonia e in Brandeburgo il primo settembre. In Brandeburgo, l’AfD è il primo partito con il 21per cento secondo i sondaggisti di Forsa. In Sassonia, arriverebbe al 25 dopo la Cdu del governatore uscente Michael Kretschmer avvistata a quota 28 per cento (rilevazione Civey). Già entrata nei parlamenti dei 16 Länder tedeschi, l’AfD si accinge al raddoppio, mettendo un’ipoteca sulla formazione di almeno due governi regionali.

Con l’AfD non si governa, è la raccomandazione dei partiti tedeschi che attorno a Dresda e alla formazione sovranista hanno costruito un muro politico. Basti pensare che molti deputati Cdu, Verdi o Spd si rifiutano di prendere l’ascensore assieme ai colleghi dell’AfD. L’ostracismo non è solo limitato alla politica: il prossimo congresso dell’AfD è previsto a novembre presso la “Sala Volkswagen” di Braunschweig, in Bassa Sassonia e mercoledì Volkswagen ha dichiarato che coprirà il logo e il nome esposti nella sala quando arriveranno i delegati sovranisti.

 

Eppure a Dresda c’è chi, in casa cristiano-democratica, guarda all’AfD con interesse. Fra questi c’è Werner Patzelt, politologo in pensione della locale Technische Universität e spin doctor di Kretschmer. Tesserato Cdu dal 1994, Patzelt rappresenta l’ala destra del partito. Stanco di lustri di grandi coalizioni Patzelt spera che la Cdu torni a destra. Dando vita in Sassonia a un governo con l’AfD? Neanche per sogno, ha spiegato l’ex accademico in una serie di interviste. Il suo ideale è il governo di minoranza: una pratica diffusa nella confinante Scandinavia ma ancora tabù in Germania. Invece che buttarsi nelle braccia dei Verdi – e questo sembra questo è anche il destino del prossimo governo federale – Patzelt vuole che Kretschmer governi la Sassonia con l’appoggio ora di un partito, ora di un altro. AfD inclusa. Il metodo Patzelt fa storcere il naso a molti, ma tutti gli osservatori concordano sulla premessa del politologo: l’AfD è un partito spaccato in due. Al suo interno albergano tanti elettori ex Cdu, ex Spd ma anche ex comunisti delusi dal governo Merkel vuoi per l’arrivo in Germania di un milione di profughi vuoi per uno sviluppo economico troppo lento all’est.

 

L’altra metà dell’elettorato è composta invece da persone che non hanno mai votato, che odiano il regime liberale e democratico, gli immigrati, i musulmani o gli ebrei, oppure tutte e tre le categorie. Alla loro testa c’è Björn Höcke, controverso leader di Der Flügel, la componente nazionalista, identitaria e revanscista dell’AfD. Höcke contesta l’espressione Europa ebraico-cristiana “perché l’ebraismo antagonizza il cristianesimo”, rimpiange l’esercito tedesco “una volta rispettato”, e ha definito l’ex leader Spd Sigmar Gabriel “nemico del popolo”, un’espressione nazista. Patzelt è convinto che chiedere i voti dell’AfD sui singoli provvedimenti finirebbe per mettere il partito con le spalle al muro, spaccandolo nelle sue due componenti principali: quella potabile e quella impresentabile. La forza di Höcke all’est – il politico è anche leader di AfD in Turingia dove si vota a fine ottobre – tuttavia fa paura a molti: il presidente del Consiglio centrale degli ebrei tedeschi Josef Schüster ha di recente definito l’AfD “un partito etnico”, invitando le altre formazioni a rifiutarne anche l’appoggio esterno. Il timore che prevalga l’ala orientale e identitaria del partito preoccupa anche i deputati occidentali del partito.