La Kasta polacca che addestra troll. Un romanzo pre elettorale
Il PiS, il partito di governo, conduceva una campagna di diffamazione contro i magistrati contrari alla riforma della giustizia
Roma. Il sito polacco Onet lunedì ha pubblicato un’inchiesta in cui raccontava l’impresa del viceministro della Giustizia polacco, Lukasz Piebiak, che aveva usato un troll di nome Emilia per condurre una campagna diffamatoria contro i giudici contrari alla riforma della magistratura promossa dal PiS, il partito che governa il paese dal 2015. Il viceministro organizzava e controllava una campagna online contro il giudice Krystian Markiewicz, capo di Iustitia, un’associazione molto critica nei confronti del governo. Anche Malgorzata Gersdorf, presidente della Corte suprema, che lo scorso anno si era rifiutata di andare in pensione anticipata come prevedeva una nuova legge approvata dal Parlamento volta a sostituire gran parte dei giudici della Corte suprema con magistrati più vicini al partito di governo, era stata, assieme ad altri magistrati, oggetto di queste campagne diffamatorie ideate dal collaboratore più stretto del ministro della Giustizia. La riforma della Corte suprema aveva scatenato non soltanto la resistenza della Gersdorf, che ogni giorno continuò a recarsi al lavoro dichiarando che lo avrebbe fatto “fino alla scadenza regolare del suo mandato”, ma soprattutto scatenò le proteste dei polacchi che in strada avevano sfilato chiedendo che venisse rispettata la Costituzione.
L’autore di questa riforma, bloccata dalla Corte europea di Giustizia e in seguito cancellata, è il ministro della Giustizia, Zbigniew Ziobro, che però dopo l’inchiesta di Onet e alla notizia che il suo viceministro Piebiak usasse dei troll per indebolire l’opposizione si è subito dissociato e ha chiesto che il suo collega desse delle spiegazioni. Piebiak si è dimesso il giorno seguente, ma lo scandalo ha riportato l’attenzione non soltanto sulle riforme giudiziarie, tema di cui in Polonia non si parlava più da diversi mesi, ma soprattutto su tutti gli altri scandali che in questi ultimi giorni hanno coinvolto il PiS – incluse le dimissioni del presidente del Parlamento per l’uso eccessivo degli aerei di stato per scopi personali – che comunque si prepara per le elezioni del 13 ottobre con tranquillità, forte del 45 per cento dei voti ottenuti durante le elezioni europee.
Il premier polacco Mateusz Morawiecki ha chiesto che anche Ziobro desse delle spiegazioni, il ministro ha continuato a negare per giorni ma ieri il quotidiano Gazeta Wyborcza ha pubblicato un altro scoop: le chat di un gruppo WhatsApp, di cui il viceministro della Giustizia faceva parte, e in cui vari membri del PiS studiavano quale fosse la strategia migliore per attaccare e diffamare i critici e gli oppositori, politici, giornalisti e soprattutto giudici. Il gruppo è stato creato nel 2016 e aveva un nome caro anche ai populisti italiani: “Kasta”(casta).
La notizia che il PiS avesse la sua piccola e artigianale fabbrica dei troll era già uscita quando l’ex premier Beata Szydlo introdusse tra i suoi consiglieri Pawel Szefernaker, un giovane laureato in Giurisprudenza che la convinse a usare i social network, lei così restia alle novità, talmente all’antica che persino Jaroslaw Kaczynski, il più conservatore del partito, dopo due anni aveva deciso di puntare su un altro premier più giovane e internazionale: Mateusz Morawiecki. Ma la Szydlo si lasciò persuadere da Szefernaker della necessità di iniziare a utilizzare i profili Twitter, Facebook e persino Snapchat per trasformare il PiS in un partito un po’ meno grigio. Il consigliere non era riuscito a dare colore né alla Szydlo né al partito, nessuna freschezza, nessuna novità. Non si è arreso e ha pensato che fosse meglio passare dalla comunicazione ai troll, tanto da guadagnarsi lo pseudonimo di “Sauron, il signore dei troll” da parte del Po, il maggior partito di opposizione. Poi Szefernaker è scomparso con la Szydlo, ma il PiS, grigio e antico, non ha abbandonato i suoi insegnamenti.