Il presidente francese, Emmanuel Macron, al G7 di Biarritz

Populisti, attenti al Macron pigliatutto che fa (bene) quello che dice

Micol Flammini

Il presidente francese sta prendendo il controllo di questa nuova Unione, lasciando a bocca aperta e senza nulla in mano tutti coloro che avevano promesso ai loro elettori la conquista dell’Ue

Roma. Venerdì, in attesa dell’inizio del G7 a Biarritz, mentre Donald Trump dava della “nasty” al primo ministro danese per aver detto che la Groenlandia non era in vendita, dava a se stesso del prescelto e agli ebrei che votano democratico degli sleali; mentre Giuseppe Conte arrivava muto e imbavagliato a rappresentare un governo inesistente; Shinzo Abe iniziava la sua guerra commerciale personale contro la Corea del sud e Justin Trudeau faceva i conti con ministri dimissionari e accuse, l’Opinion inaugurava il vertice con una vignetta: seduto attorno a un tavolo con tutti i leader, Emmanuel Macron si gira verso Angela Merkel e le propone di lasciar perdere il G7 e di fare direttamente, il prossimo anno, un G2. La cancelliera gli risponde che il prossimo anno non ci sarà più nemmeno lei e chissà cosa uscirà fuori dalle prossime elezioni in Germania. Così, in mezzo a questo panorama, nel bel mezzo di un G7 inutile ma necessario, Emmanuel Macron ha deciso di prendersi tutto: dettare l’agenda, fare sorprese, mettere Trump all’angolo (ieri il presidente americano si è anche congratulato con lui) e dimostrare che si è entrati nell’èra dell’Unione europea macroniana.

 

 

 

Due lunedì fa, prima del vertice, Macron aveva ricevuto nella fortezza di Brégançon il presidente russo Vladimir Putin, mettendo tra gli argomenti all’ordine del giorno il possibile ritorno della Russia al G7, ponendo come condizione il rispetto degli accordi di Minsk. Poi è stato Trump a insistere, a dire che Mosca deve essere riammessa in fretta perché al G7 non si fa altro che parlare di argomenti che la riguardano. Macron voleva che a Biarritz si parlasse di Russia e così per ventiquattr’ore i leader del vertice e non solo non hanno fatto altro che parlare della possibilità di rivedere Putin nel gruppo dei sette, anzi otto. Il presidente francese voleva si parlasse anche di Iran e per assicurarsi che il suo messaggio fosse ben recepito ha organizzato, a sorpresa, l’arrivo del ministro degli Esteri Javad Zarif, di recente sanzionato da Donald Trump. La presenza di Zarif, rimasto per cinque ore a colloquiare con francesi, tedeschi e britannici, ha sottolineato quanto l’Amministrazione Trump sia isolata nel suo approccio con Teheran, dopo la decisione di ritirarsi dall’accordo sul nucleare. Gli europei hanno deciso di mantenere vivo l’accordo anche senza gli Stati Uniti e l’invito a Zarif è parso un tentativo di ulteriore avvicinamento.

 

Macron durante questi tre giorni di vertice voleva lanciare un messaggio, dire che l’Europa è forte e a mettercisi contro si rimane isolati. Sta ridisegnando l’Europa, sta tentando di darle nuovi compiti, nuove missioni e di ristabilirne la posizione internazionale, di renderla più forte, più ambiziosa. Sta prendendo il controllo di questa nuova Unione, lasciando a bocca aperta e senza nulla in mano tutti coloro che avevano promesso ai loro elettori la presa dell’Ue: Matteo Salvini con la sua Europa del buonsenso e i grillini con lo “tsunami” con cui dicevano di voler distruggere Commissione europea e Consiglio.

 

Macron vuole essere ovunque, da Bruxelles a Biarritz, da Mosca a Teheran, non ci sono dossier per i quali non si propone da mediatore. Le intenzioni erano chiare già pochi mesi dopo la sua elezione, quando organizzò a Parigi l’incontro tra il generale Haftar e il presidente del Consiglio libico Fayez al Serraj. Doveva essere un incontro iconico, per prendersi la scena in Libia, conclusosi con la famosa stretta di mano. Un anno dopo l’ex presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte tentò la stessa impresa a Palermo, ma finì con il peggiorare soltanto le cose. Non ebbe nemmeno un documento finale dalla Conferenza che contribuì a far diventare sempre più irrilevante il governo italiano nella gestione della Libia. Mesi più tardi, a marzo del 2019, momento importantissimo per la crisi libica, mentre Khalifa Haftar volava a Parigi, il vicepremier Luigi Di Maio incontrava il capo dei gilet gialli Christophe Chalençon. A ciascuno il suo.

Di più su questi argomenti: