Ossessione persiana
Trump desidera un incontro con gli ayatollah che sia storico più di quello con Kim e surclassi per sempre Obama
Roma. Il presidente americano, Donald Trump, ha già provato con Kim Jong Un della Corea del nord l’ebbrezza vertiginosa che danno gli incontri storici e non vede l’ora di ripetere l’esperienza con gli iraniani. Una volta che hai assaggiato l’effetto, i media del mondo in trance che seguono ogni tuo passo, l’effetto atomico sui social media, gli storici costretti a prendere nota – “per la prima volta nella storia”, una frase che ha un potere seduttivo incomparabile – è presumibile che tu ne voglia ancora.
Al G7 di Biarritz Trump ha aperto a un incontro con gli iraniani e il presidente francese Emmanuel Macron, che si è trasformato in un abilissimo partner diplomatico della Casa Bianca, da Putin all’Iran e chissà che ritorno vede in questo suo ruolo di facilitatore, ha detto che potrebbe avvenire già “nelle prossime settimane”. Nel frattempo il presidente iraniano, Hassan Rohani, ha risposto che in cambio dell’incontro vuole la fine di tutte le sanzioni e rifiuta di far entrare nell’eventuale negoziato il dossier missili balistici (che è un dossier importante, perché se gli iraniani lavorano ai missili balistici allora il programma atomico ha il potenziale per diventare pericoloso), e sono ostacoli molto grossi.
Ma l’impressione è che Trump desideri questo incontro tra America e Iran con un appetito irresistibile, sin da quando a giugno fermò gli aerei già in volo per bombardare l’Iran dopo che un missile iraniano aveva abbattuto un sofisticatissimo aereo spia americano in volo sul Golfo. Subito dopo venne fuori che Trump aveva chiesto agli iraniani di parlare attraverso l’Oman, che fa da canale diplomatico, e due giorni dopo davanti ai giornalisti li ha ringraziati per non avere colpito un aereo militare americano che viaggiava sulla stessa rotta dell’aereo spia. Che deve fare di più un presidente per avere un incontro con il leader di un paese nemico? E’ possibile che su tutta la questione pesi molto la fissazione trumpiana per battere Obama. Un accordo di pace con Teheran che congelasse il programma atomico è stato il grande progetto in politica estera di Obama, quello che lui voleva lasciare come eredità al mondo. Pur di ottenerlo è passato sopra a crisi gravissime – per esempio ha deciso di soprassedere sulla guerra civile in Siria sebbene avesse minacciato il regime di non usare armi chimiche contro i civili. E’ una linea rossa che per noi non dev’essere varcata altrimenti interverremo. Fu varcata senza danni, perché Obama non voleva mettere a repentaglio il negoziato con l’Iran. Quando Trump è arrivato alla Casa Bianca ha disfatto l’accordo di Obama, che era costato così tanto. Adesso la sua ambizione nuda è surclassare il suo predecessore, che pensava di passare alla storia grazie ai mesi di trattativa a Ginevra. Trump vuole le bandiere americane e iraniane al vento che fanno da coreografia, vuole i fotografi e i flash, vuole stringere la mano a un leader in turbante mentre gli storici prendono appunti e Obama da casa si chiede dove ha sbagliato – e tutto questo mentre si va verso la campagna elettorale. Certo, c’è il rischio che sul piano dei fatti non ottenga nulla, come sta succedendo con Kim, che lui definisce “un furbetto”. La Corea del nord non è più vicina alla fine del suo programma militare atomico di quanto non lo fosse nel 2017. Il regime iraniano torchiato dalle sanzioni potrebbe avere imparato la lezione, se devono fare scena per accontentare il presidente americano e in cambio otterranno un po’ di sollievo, allora perché no?