Gas lacrimogeni contro i manifestanti di piazza Tahrir (foto di Hossam el-Hamalawy via Flickr)

Il boom mondiale nel business del lacrimogeno

Maurizio Stefanini

Il gas è vietato in guerra ma abusato in tempo di pace. Non ci resta che piangere

Roma. Non ci resta che piangere: salvo per chi vende il know-how relativo, che invece ride e festeggia. “C’è un boom nel commercio mondiale del gas lacrimogeno”, aveva titolato a dicembre la Bbc citando la società di consulting Allied Market Research. Sempre la Allied Market Research adesso informa che il mercato dei gas lacrimogeni è talmente promettente che ci si sta buttando in pieno anche la Cina.

 

Per i lacrimogeni, secondo lo studio, la Cina rimane uno dei mercati più dinamici a causa “della forte crescita economica, della crescente spesa militare, del rapido sviluppo industriale, delle crescenti situazioni di disordini sociali”. Il governo di Pechino prevede infatti di aumentare la produzione. Un po’ perché in patria questa peculiare merce può essere molto utile: per reprimere le proteste a Hong Kong si stanno utilizzando gas lacrimogeni non di produzione nazionale, poiché evidentemente gli stock disponibili erano terminati. Un po’ per come evolve la politica mondiale, il gas lacrimogeno sta diventando uno strumento di governance sempre più ricercato. La domanda è in continuo aumento, e gas lacrimogeni made in China sono stati usati negli ultimi anni in Thailandia, durante le Primavere arabe, in Sudan, e naturalmente in Venezuela. Probabilmente, proprio perché sono andati a ruba, la polizia di Hong Kong ne era rimasta sprovvista: un inconveniente che Pechino vuole evitare che si possa ripetere. 

 

Ma in più c’è l’elemento di una sfida, che si aggiunge alle altre ora in corso tra Pechino e Washington. Dalle cosiddette guerre dei dazi all’affare che riguarda Huawei fino al sempre più marcato rafforzamento della forza militare cinese nel Pacifico. A dicembre, l’analisi della Alliad Market Research si era soffermata sulla Combined Systems. Inc. di Jameson, Pennsylvania, impresa americana leader del settore. Tra i suoi acquirenti – a parte vari dipartimenti di polizia locali – si contano anche Egitto, Israele e Bahrein. La previsione era che entro il 2022 il suo giro d’affari avrebbe potuto arrivare ai 9 miliardi di dollari. I gas lacrimogeni sono utilizzati sempre di più alla frontiera con il Messico per fermare i tentativi di ingresso dei migranti ispanici.

 

Basato su asserzioni delle ditte produttrici e su analisti di mercati, lo studio attuale spiega che la Repubblica popolare cinese iniziò a produrre gas lacrimogeni solo nel 1990, per effetto del massacro di piazza Tienanmen. Alcuni generali si erano infatti giustificati per lo spargimento di sangue sostenendo che non avevano in dotazione gas lacrimogeni, ma solo proiettili letali. Per questo i gas lacrimogeni sono a disposizione non solo della polizia anti-sommossa, ma anche dell’Esercito popolare di liberazione: curioso nome ossimoro per una organizzazione oggi massicciamente utilizzata nella repressione della protesta. Negli ultimi anni, lacrimogeni e altre armi “non letali” sono state usate contro contadini, villaggi, operai che scioperavano o che criticavano gli espropri.

 

Secondo le ditte produttrici il mercato dei gas lacrimogeni potrebbe crescere del 7,4 per cento da quest’anno fino al 2025, con un aumento dei ricavi stimabile in oltre 800 milioni di dollari. Entro il 2022 l’intera industria potrebbe valere 9,7 miliardi di dollari. Il decollo si ebbe nel 2011, quando sull’onda delle Primavere arabe le vendite triplicarono. Adesso mercati particolarmente promettenti sono quelli dell’Africa orientale e del subcontinente Indiano. La Turchia nel 2013 utilizzò gas comprati dalla brasiliana Condor Non-Lethal Technologies SA, che era tradizionalmente la “quarta grande” dopo le tre americane Cominesd Systems, Inc, Defrense Technologies e Nonlethal Tehcnologies. In Cina, negli ultimi dieci anni, le imprese produttrici di armi non letali sono quadruplicate. Adesso sono 134, e 48 offrono prodotti per l’export. Le committenti di gas lacrimogeno del governo sono passate da 16 nel 2016 a 50 nel 2018.

 

Ovviamente, non tutti i gas sono uguali. La Bbc racconta che durante le proteste di Piazza Tahrir gli studenti egiziani erano diventati sulla loro pelle talmente “intenditori” del prodotto che per passare il tempo tra uno scontro con la polizia e l’altro alcuni di loro si divertivano a indovinane la provenienza, anche leggendo le etichette sui serbatoi. “Ah guarda, questo è gas lacrimogeno americano!”. “Questo è gas lacrimogeno britannico”. “Oh no!, vogliono risparmiare e stanno usando gas cinese ora. Vogliono ucciderci!”. In base alla Convenzione sulle armi chimiche del 1993, il gas lacrimogeno è vietato in guerra. Ma finisce per essere usato massicciamente in tempo di pace senza troppi problemi.

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